"Darò il mio contributo per accertare la verità”
Gioacchino Natoli, l’accusa di tradimento a Falcone e Borsellino: con le intercettazioni lampo insabbiò l’inchiesta Mafia-appalti
“Insabbiò l’inchiesta Mafia-Appalti”. È questa l’accusa che la procura di Caltanissetta contesta all’ex Pm Gioacchino Natoli. Strano sedere dall’altra parte, eppure l’ex presidente della Corte d’Appello di Palermo nonché pm dello storico pool antimafia insieme con Borsellino e Falcone, domani dovrà comparire davanti alla Corte per dire le sue verità, per spiegare. Quel dossier ha scritto la storia del nostro Paese, la eco di quelle bombe in strada a Palermo si sente ancora oggi. È quel dossier, che voleva scavare nei rapporti tra la malavita siciliana e i colletti bianchi che, secondo il generale Mario Mori, portò all’uccisione di Paolo Borsellino nella strage di Via D’Amelio.
Le intercettazioni
Oggi quel dossier torna a essere centrale. Secondo l’accusa l’ex Pm Natoli avrebbe aiutato i mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco e gli imprenditori Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini (gli ultimi tre al vertice del Gruppo Ferruzzi) ad eludere le indagini. In particolare al magistrato viene contestato di aver svolto, nell’ambito del procedimento 3589/1991 aperto a Palermo dopo l’invio delle carte da Massa Carrara su presunte infiltrazioni mafiose nelle cave toscane, una “indagine apparente” – si legge nelle carte della procura – “richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini” e di aver disposto, “d’intesa con l’ufficiale della Guardia di Finanza Screpanti che provvedeva in tal senso, che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la ‘messa a disposizione’ di Di Fresco in favore di Bonura, nonché una concreta ipotesi di ‘aggiustamento’, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico di Bonura per un duplice omicidio”.
L’accusa
Natoli inoltre non avrebbe aperto alcuna indagine nei confronti dell’imprenditore Luciano Laghi e dell’imprenditore Claudio Scarafia, “sebbene i due riferimento agli interessi della stessa nel settore dell’aggiudicazione degli appalti (operazione gestita unitamente al mondo imprenditoriale e a quello della politica)”. Per i Pm di Caltanissetta, quindi, Natoli avrebbe insabbiato l’indagine della Procura di Massa Carrara, poi confluita nel procedimento sulle gare pubbliche gestite dalla criminalità organizzata, per favorire un gruppo di imprenditori palermitani. Di fronte all’organismo parlamentare presieduto da Chiara Colosimo, dove era stato convocato a seguito delle dichiarazioni dell’avvocato della famiglia Borsellino, Fabio Trizzino che aveva insistito sul fatto che per Borsellino quel dossier era importantissimo mentre la Procura all’epoca aveva sminuito il suo valore, Natoli aveva ricordato che le bobine delle intercettazioni riguardanti i fratelli imprenditori Buscemi, oggi utilizzate dall’accusa contro lo stesso ex magistrato, non erano state affatto smagnetizzate e che lui stesso le aveva fatte ritrovare. Ieri, dopo aver scoperto che il suo nome figurava sul registro degli indagati ha dichiarato all’Ansa: “Sono stato e sono un uomo delle istituzioni e ho piena fiducia nella giustizia. Darò senz’altro il mio contributo nell’accertamento della verità”.
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