La richiesta
Gioielli dei Savoia, basta indugi: dopo 75 anni è ora di decidere

Un evidentemente non voluto sincronismo ha fatto sì che la rivendicazione da parte dei discendenti di Casa Savoia dei gioielli della Corona custoditi in un deposito presso la sede centrale della Banca d’Italia sia stata resa pubblica nei giorni dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e, soprattutto, in occasione del Giorno della Memoria dell’Olocausto, quando si sono ricordate le frasi di Carlo Azeglio Ciampi sugli atti vili e vergognosi dei Savoia e la sottoscrizione, con Mussolini, delle leggi razziali.
Il Parlamento, mentre le forze politiche appaiono purtroppo confuse e disorientate, è impegnato nella elezione della suprema Magistratura dello Stato repubblicano. Si ripetono formule generiche sull’identikit dell’auspicato Presidente, ma questi, quando assume i chiari connotati fisici, diventa oggetto di “ no” da una parte o dall’altra dello schieramento parlamentare e la candidatura viene accantonata. Le votazioni numerose sono state anche una caratteristica del passato. Oggi, però, con gli sviluppi della comunicazione, con la trasparenza “in diretta” della vita parlamentare, soprattutto con l’indebolimento, per adottare un eufemismo, dei partiti che, ai tempi, invece compensavano le lungaggini e offrivano un’immagine di stabilità e di affidabilità, i tempi lunghi appaiono non più sostenibili. Si cerca giustamente per il Colle un personaggio “super partes”, ma quando si fa il nome di qualcuno che, in diverse cariche di rilievo costituzionale, ha dato prova di equilibrio e capacità – si veda Casini – se ne contrasta, da alcuni, la candidatura, senza un’accettabile motivazione.
In questo complesso e delicato contesto irrompe la rivendicazione “monarchica”. I gioielli della Corona, all’atto della partenza per l’esilio di Umberto II, furono da questi consegnati al Ministro della Real Casa Falcone Lucifero perché li depositasse in un’apposita custodia presso la Banca d’Italia per essere poi restituiti a chi di diritto. Sono trascorsi da allora 75 anni senza che la restituzione, pur indeterminata, sia avvenuta perché gli organi dello Stato finora non sono stati in grado o non hanno voluto assumere una decisione al riguardo per la formalizzazione della proprietà e l’assegnazione a un soggetto pubblico dei “ preziosi”.
E ciò nonostante che la Procura di Roma, a suo tempo, avesse aperto la strada per una decisione che, però, non può di certo essere adottata dalla Banca d’Italia la quale è una semplice depositaria e, in quanto tale, deve attenersi a tutte le norme che regolano i depositi. Il valore delle gioie, secondo alcuni potrebbe raggiungere i trecento milioni; secondo altri, si tratterebbe, invece, di un valore decisamente minore, intorno a qualche milione. Comunque il valore trascende l’aspetto veniale. Lo Stato, in ogni caso, riterrebbe, attraverso i Ministeri competenti ma senza un documento scritto almeno finora, che i gioielli siano di sua proprietà perché confiscati ai Savoia in base alla molto chiara seconda parte della tredicesima disposizione transitoria della Costituzione.
Gli eredi del re esiliato, invece, sosterrebbero che questa tesi non sia fondata e si accingono a chiamare lo Stato in giudizio, avvalendosi legittimamente di mezzi giuridici (trascurando però la Costituzione) messi a disposizione indistintamente di tutti dal Paese per il quale dai loro “danti causa” sono stati commessi gli atti di cui ha parlato Ciampi e che tutti comunque conoscono, se non altro per averne appreso leggendo libri di storia. Ma il fatto singolare è che, allorché una serie di richieste venivano rivolte alla Banca d’Italia perché consentisse almeno l’ostensione delle gioie, il Governatore del tempo, Mario Draghi, da poco insediatosi a Palazzo Koch, ritenne giustamente, dopo avere rilevato il ruolo della Banca d’Italia quale semplice depositaria, di investire la Presidenza del Consiglio perché, magari coordinando tutti i soggetti pubblici a vario titolo competenti in materia, assumesse una definitiva decisione rispondendo alla formula di “chi ne ha diritto” e affidando il deposito a un organo o struttura dello Stato. Ciò avveniva nel 2006. Alcune cronache riportavano la certezza che l’iniziativa sarebbe stata risolutiva. Sono trascorsi, però, sedici anni senza che sia stato preso alcun provvedimento.
Ora è legittimo ritenere che, essendo proprio Draghi presidente del Consiglio, questa kafkiana vicenda avrà finalmente una soluzione. O no? Anzi avrebbe dovuto già averla anche perché, pur non trattandosi nel duro periodo attraversato, della principale questione da affrontare, per risolvere questo problema, se tale lo si vuole considerare, non sarebbe stato necessario impiegare grandi risorse e chissà per quanto tempo. La strada è abbastanza agevole. Soprattutto si pone un problema di dignità dell’amministrazione pubblica, di efficacia e tempestività dell’azione. È, insomma, questo un caso nel quale si condensano tutti i mali dell’azione amministrativa, anche in senso alto. E un’immagine, con i 75 anni di inerzia, si offre all’estero non certo esaltante.
E poi il decisionismo, la tempestività e l’imperturbabilità che si attribuiscono al Premier dove sono? Sarebbe doveroso non certo attendere il giudizio che sarebbe proposto dagli eredi Savoia per prendere una decisione, di cui si sottolinea anche il valore simbolico e di effetto-annuncio. La contestualità degli eventi citata all’inizio spinge per un provvedimento che, quale che sia il canone secondo il quale lo si riguarda, non può ancora tardare. Non si può certamente attendere il secolo per decidere: il discredito avvolgerebbe tutti
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