Parla l'eurodeputato dem
“Giorgetti è nel governo ma fa opposizione silenziosa…”, parla Brando Benifei
Brando Benifei, eurodeputato dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo, rappresenta il Pd nel cuore dell’Europa. Occhi e orecchie sempre puntati sul mondo del lavoro, ragiona con noi di torti e ragioni dello sciopero generale. «Lo dico subito: rompere l’unità sindacale indebolisce le rivendicazioni. Perché le istanze forti, anche legittime, si indeboliscono se il sindacato è diviso. Detto ciò è una scelta che rispetto ma auspico un ritorno al più presto a un confronto col governo».
Anche perché il ministro del lavoro è il dem Andrea Orlando, non Bava Beccaris.
C’è uno sforzo in atto da parte del Ministro Orlando e di Draghi che deve essere riconosciuto, su taglio delle tasse ai lavoratori e creazione di occupazione c’è un impegno vero che deve continuare, alcune forze politiche come il PD hanno fatto pressione più di altre.
Ma è importante che nei confronti che ci saranno le parti sociali si sentano coinvolte davvero dall’inizio, non è stato del tutto così per la parte fiscale.
Il Pnrr incentiverà le nuove assunzioni e il governo mi auguro che accompagnerà questa fase per il meglio, è fondamentale anche la selezione di nuove professionalità per la pubblica amministrazione che sta mettendo in piedi il ministro Brunetta.
D’altronde c’è un paese, la Germania, in cui di scioperi se ne fanno pochi. Sono giorni di entusiasmo per la formazione del governo tedesco. Il Pd riparte da Scholz?
Il segretario Letta con cui abbiamo tenuto pochi giorni fa una assemblea “europea” a Firenze vede nel nuovo governo tedesco uno dei segnali di cambiamento in atto in Europa. Abbiamo un rapporto stretto con Spd e condividiamo una buona base programmatica comune.
Anche verso l’Europa e il lavoro?
Verso un approccio alle politiche espansive, verso un’Europa solidale, dei diritti. E sul lavoro vanno fatti ora i maggiori passi avanti.
C’è l’asse con la Germania e quello con Macron. I vostri alleati dei Cinque Stelle non stanno più con i Gilet gialli…
Hanno cambiato posizione, è un bene. Noi invece siamo rimasti della nostra idea, e se trainiamo gli altri, tanto meglio.
Cambiano posizioni ma lasciano dei gran pasticci. Come quello sul reddito di cittadinanza. E ora bisognerà trovare un lavoro anche ai Navigator, che non ne hanno mai trovato per nessuno.
Sicuramente è uno strumento da riformare. Il punto vero? Non distingue tra chi va reinserito perché attivo e capace e chi invece deve essere sostenuto per un tempo maggiore. Non si appoggia alle politiche attive del lavoro, cosa ben più grave dei percettori abusivi di cui si parla tanto. Mi lasci dire una cosa.
La dica.
Questa indignazione a senso unico verso i furbetti del Reddito di cittadinanza non mi convince. Si stigmatizza la povertà, mentre i numeri sono molto più alti – e ben più gravi – quando parliamo di evasione fiscale e di frodi sui vari bonus. Degli evasori non si parla abbastanza. Trovo populista la linea dell’abolizione del rdc, che va riformato nei punti in cui non funziona. Uno su tutti: non ha trovato lavoro a nessuno.
Ci vorrebbero incentivi per uscire dalla condizione di povertà, non per galleggiarvi dentro.
Ci vuole un reinserimento che va pensato in tempi brevi, medi e lunghi. E anche su questo: attenzione a non usare il tema del RDC contro i giovani. In Italia i giovani sono vessati, dire che vogliono stare sul divano e non lavorare secondo me è una retorica che rivela uno squilibrio nel racconto del Paese. La generazione under 40 è quella che si è più impoverita prima e dopo la pandemia.
Come si aiuta, concretamente?
Con battaglie puntuali. Mi sono incaponito sui tirocini non retribuiti, perché non è giusto far lavorare delle persone, anche se giovani, e non pagarle. Su questo non vedo abbastanza consapevolezza, in Italia, nonostante una importante campagna portata avanti dalle organizzazioni giovanili e una proposta di legge depositata in Parlamento.
Si parla invece di riders. Quali novità introduce la direttiva europea?
Mette ordine in un vero e proprio far west. A partire da una questione: quando ci sono caratteristiche tipiche del lavoro subordinato, si presuppone che agli obblighi per i lavoratori debba corrispondere un inquadramento da lavoro dipendente. Invertendo l’onere della prova: l’azienda dovrà dimostrare che si tratta di lavoratori autonomi, altrimenti sono obbligati a assumerli in pianta organica. E se i rider devono usare una cesta, una maglia, una divisa, uno stesso algoritmo, allora sono subordinati, non autonomi.
A proposito di algoritmi, sono ormai loro i misuratori delle performances, i padroni del vapore.
Anche su questo incide la direttiva: bisogna che il lavoratore capisca il processo di cui è parte. Se vengono fatti cambiamenti di funzionalità, orario, distribuzione, il lavoratore deve essere informato con trasparenza e messo in condizione di interloquire con l’azienda. Se decide un algoritmo, il lavoratore diventa un ingranaggio. Va introdotta la spiegabilità dell’algoritmo.
Figuriamoci che ormai i licenziamenti arrivano tramite sms, tramite mail. È normale?
È intollerabile e spesso fuori dalla legge. Ma dove non intervengono i giudici deve agire la politica, servono leggi. A livello europeo e anche a livello nazionale servono normative che vanno a mettere alcuni paletti.
Me ne dice uno?
Le delocalizzazioni. Si prenda ad esempio la Francia: ci sono norme molto restrittive. In Italia c’era una proposta che circolava, voluta da Orlando. Ad oggi è ferma. Enrico Letta ha rilanciato il tema. C’è chi nel governo, e io indico Giancarlo Giorgetti, sta facendo una opposizione silenziosa: non dice nulla di pubblico, ma la norma è ferma mentre il Mise si deve esprimere affinché vada avanti. Se c’è da parte di Giorgetti la tentazione di bloccare il provvedimento che disincentiva le delocalizzazioni selvagge lo dica, perché non si può tenere ferma una norma così urgente e necessaria.
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