Giorgia Meloni si prepara a quella che sarà la missione più complessa da quando siede a Palazzo Chigi. Perché a Washington è chiamata non solo “a dimostrare di che pasta è fatta”, come indicato da Politico, ma dovrà farlo dalla doppia posizione di alleata come premier e di affine sul piano politico all’attuale amministrazione statunitense. E dunque è obbligata alla vittoria in trasferta. Tutti guarderanno a questo incontro per capire se esiste realmente e quali sono i parametri di questa “relazione speciale” – un tempo riservata solo alla Gran Bretagna – e quanta presa effettivamente abbia Meloni su The Donald.

Il riconoscimento

La presidente del Consiglio parte da un dato che le riconoscono tutti: fino ad ora in politica estera non ha sbagliato un colpo, dimostrando che l’Italia può essere alleato e non “satellite”, come specificato con sfumature d’antan dal sempre acuto ministro della Difesa Guido Crosetto. Ma quali sono le carte che Giorgia potrà mettere sul tavolo e quali i margini di trattativa? Qui la questione è legata alle intenzioni e agli umori del presidente degli Stati Uniti e a come la premier saprà toccare le corde giuste. La diplomazia, del resto, parla solo due lingue: quella dei non detto o quella esplicita.

L’indispensabilità dell’Italia

Di frecce al suo arco Meloni ne ha, e ruotano tutte intorno alla indispensabilità dell’Italia sui fronti di quella riorganizzazione americana che – tradotta in maniera netta – è un primo passo verso un graduale disimpegno. Qui Washington ha bisogno di Roma, della posizione italiana e della presenza italiana anche in chiave di equilibrio in un’Europa che, tra ambizioni anglo-francesi e riarmo tedesco, sarà dominata da una certa corsa al primato continentale. Di più: l’Italia meloniana si è dimostrata più atlantista di quanto abbiano fatto altri e ha rotto – dopo l’iniziale abbocco degli odierni pacifisti – l’abbraccio con la Cina, uscendo dalla Via della seta. Meloni dovrà puntare sulle aree d’influenza italiane in Africa, dove oggi la presenza militare e strategica di Roma è l’unico argine a Cina e Russia e anche all’espansionismo di un alleato inquieto e mutevole come la Turchia. Così come nei Balcani l’Italia è elemento di stabilità e risorsa preziosa per gli Stati Uniti.

L’interesse ad ascoltare le proposte italiane

Gli argomenti sul tavolo non mancano, e gli Usa hanno tutto l’interesse ad ascoltare le proposte italiane, così come a dimostrare l’interlocuzione privilegiata che limiterebbe il campo d’azione degli altri partner europei. Una Meloni rafforzata dal bilaterale rientrerebbe in Italia e soprattutto ai vertici europei con un’incisività maggiore. Ovviamente dovrà – e non potrebbe fare altrimenti – ottenere qualcosa anche per l’Europa, dimostrando che per connettersi con la Casa Bianca quello con Palazzo Chigi è un passaggio obbligato. Non è una missione impossibile, anzi: è un test politico, un passo indispensabile verso quel nuovo ordine globale e quindi anche europeo che il cambiamento americano impone. I nuovi scenari parlano chiaro, e gli schemi del passato sono stati definitivamente archiviati, con buona pace di coloro che si sognano imbalsamatori della storia.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.