Mate Polis - Le gemelle diverse
Il paragone
Giorgia Meloni come Michael Faraday: la scelta tra accontentarsi e spiccare il volo, liberandosi della zavorra del suo passato
La storia e la parabola di Giorgia Meloni, nel campo scientifico, è analoga a quella del grande scienziato Michael Faraday. Lui nacque a Londra verso la fine del Settecento da una modesta famiglia di religione sandemanista e frequentò scuole di livello non eccelso, nonostante la sua notevole intelligenza accompagnata da una grande curiosità e sete di conoscenza. Assunto come apprendista legatore, cominciò a leggere avidamente i testi che rilegava, soprattutto quelli di natura scientifica. Si racconta che la scintilla che cambiò la sua vita fu la lettura della voce dedicata all’elettricità nella nuova edizione dell’Encyclopaedia Britannica, che stava appunto rilegando. Lesse, infatti, che non esisteva una spiegazione definitiva di un fenomeno come l’elettricità che, purtuttavia, tutti conoscevano e potevano vedere, ed essendo sandemanista – oltre che curioso di suo – decise che avrebbe dimostrato quel fenomeno che era una delle prove più lampanti della potenza di Dio. Spinto da questa insaziabile fame di sapere, cominciò a frequentare le lezioni di Tatum e di Humphry Davy, che era il presidente della Royal Institution.
La trinità naturale
Molti secoli prima che il pensiero cristiano concepisse la Santissima trinità, i filosofi greci si erano convinti che vi fosse una trinità naturale ad essere artefice della creazione dell’universo e che ne reggesse le sorti: elettricità, magnetismo e la forza gravitazionale. Fu Talete in particolare ad osservare che le magnetiti, pietre fortemente ferrose, attirassero frammenti di ferro e che l’ambra – strofinata con la lana – attirava frammenti di paglia. A queste forze misteriose che riguardavano la materia, si aggiungeva l’osservazione evidente che la terra attraeva a sé corpi di ogni tipo. Solo nella metà dell’Ottocento, per impulso di un medico inglese che si chiamava Gilbert, si percepì l’importanza della forza di attrazione dell’ambra (in greco elektron) e del magnetismo. Gilbert capì che la forza dell’elettricità era sempre positiva e quella dei magneti era polare (respingeva poli uguali e attraeva gli opposti). Diverso era il discorso della gravità che, come aveva dimostrato Newton, era una forza universale.
L’obiettivo
Il giovane operaio legatorista, ascoltando le lezioni di Davy, cominciò a sviluppare una vera e propria fissazione per il rapporto tra elettricità e magnetismo. Segnalandosi per la sua costanza e assiduità, e il suo intuito sperimentale, fu promosso proprio dal suo mentore come suo assistente di laboratorio. La sua infinita pazienza e capacità di osservazione lo portarono a raggiungere il suo obbiettivo. Altri scienziati – come Oersted, Ampere e Arago – andavano dimostrando che l’elettricità è capace di generare un vortice magnetico. Ora toccava a Faraday provare a dimostrare anche il contrario, e cioè che il magnetismo può generare energia. Provò migliaia di volte, collegando un magnete ad un interruttore, a vedere cosa succedeva. C’era un particolare apparentemente insignificante. Ogni volta che accendeva l’interruttore, il magnete si muoveva leggermente in senso antiorario. Allora prese una barretta di magnete, l’appesantì alla base in modo che galleggiasse verticalmente in una vaschetta di mercurio, fissò un filo metallico al centro della vaschetta e lo fece attraversare da un flusso di corrente elettrica. Il risultato fu sorprendente: il magnete cominciò a ruotare intorno al filo in senso antiorario come spinto da una corrente invisibile. Era la scoperta dell’induzione elettromagnetica, grazie al quale abbiamo potuto costruire generatori elettrici e motori. Nel corso della sua luminosa carriera Faraday fece altre scoperte importanti, dalla legge dell’elettrolisi al diamagnetismo e paramagnetismo. Diventò anche presidente della Royal Institution e fu acclamato anche da coloro che lo avevano guardato, quando era un umile legatore, dall’alto in basso. Eppure si portò sempre appresso lo sguardo scettico di chi continuava a ritenerlo un parvenu.
Il percorso di Giorgia Meloni
Anche Giorgia Meloni è partita dal basso, ha fatto gavetta politica, ha portato un partitino di nostalgici fascisti ad essere il primo partito italiano. Cosa ha scoperto, o meglio capito, Giorgia Meloni? Che nella politica di questo tempo le etichette non contano: conta la capacità di toccare il cuore, e qualche volta la pancia, delle persone. Così è diventata la prima donna presidente del Consiglio, ha sdoganato la destra post-fascista portandola al governo, è diventata leader incontrastata del centrodestra e oggi può esercitare un ruolo di primo piano anche in Europa. Per farlo deve, però, liberarsi, di una zavorra. La zavorra può essere la sua stessa storia personale e di militanza politica e il partito che lei ha fatto diventare un pilastro della politica italiana. Deve sentirsi all’altezza del suo ruolo, non farsi costringere a difendere quei rigurgiti nostalgici che ogni tanto affiorano. Anzi spingere il suo partito ad una nuova fase, i suoi dirigenti a studiare di più, a comprendere il mondo che cambia. Qualche volta anche a stare in silenzio. Può essere una statista europea a capo di una destra rinnovata e protagonista o farsi trascinare nelle sabbie mobili dei reduci, dei nostalgici, delle mani tese e delle raccapriccianti pulsioni neonaziste. Come per Faraday, viene il momento di spiccare il volo oppure accontentarsi.
© Riproduzione riservata