Il ruolo di ponte
Giorgia Meloni con Pechino rischia la fine di Angela Merkel: i casi da studiare per non cadere in errore
Nella giornata di ieri, la Cina ha subito condannato “l’assassinio” del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh da parte di Israele in un attacco a Teheran. “Siamo molto preoccupati per l’incidente, ci opponiamo fermamente e condanniamo l’assassinio”, ha detto il portavoce del ministero degli esteri Lin Jian. Nella missione a Pechino Giorgia Meloni aveva legittimato la Cina come “interlocutore indispensabile” nelle crisi internazionali e “interlocutore molto importante” nell’area medio orientale, “visti i solidi rapporti che esistono con Teheran e con Riad” al fine della “normalizzazione nei rapporti tra Paesi Arabi e Israele”.
Una dissonanza cognitiva
Difficile pensare però che la premier avesse in mente il tipo di contributo offerto ieri dal governo di Pechino. Ovvero la difesa a spada tratta di un movimento terrorista antisemita e del suo leader sanguinario, mente del pogrom del 7 ottobre, che usa – parole sue – “il sangue delle donne, dei bambini e degli anziani palestinesi… per risvegliare lo spirito rivoluzionario dentro di noi”. La volontà della Cina di guidare la compagnia globale di autocrazie, dittature e milizie sanguinarie – tra queste Russia, Iran, Hezbollah, Houthi & C. – che combattono contro il diritto internazionale, l’ordine liberale e l’esistenza fisica dello stato ebraico evidenzia tutta l’ingenuità geopolitica mostrata dalla premier italiana a Pechino. Una dissonanza cognitiva imperdonabile se si pensa che solo pochi giorni prima, il 23 luglio, proprio a Pechino, 14 fazioni palestinesi (incluse Fatah e Hamas) avevano siglato un accordo alla presenza del ministro degli esteri cinese Wang Yi, con la prospettiva di progettare un nuovo governo palestinese per la Striscia di Gaza. Così, la fiducia di Meloni nella funzione di intermediario di Xi Jinping appare nella migliore delle ipotesi una pia illusione: l’ipotesi che il prossimo governo di Gaza possa annoverare tra i suoi componenti membri della formazione militare che ha scatenato il pogrom del 7 ottobre è del tutto escluso sia da Gerusalemme che da Washington.
Il ruolo di ponte
Parimenti sprovveduta appare l’idea di Meloni di affidare all’Italia il ruolo di ponte tra Europa e Cina. Prima di lei hanno già fallito in questi tentativi isolati e autoreferenziali sia il presidente francese Emmanuel Macron che il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Xi Jinping sceglie i suoi interlocutori in prima persona, non si lascia scegliere: Pechino sfonda in Europa attraverso i pori aperti dall’Ungheria e dalla Serbia, che lo stato di diritto lo frequentano poco. Fin quando i paesi europei non capiranno che da soli non vanno da nessuna parte resteranno ininfluenti: solo l’Unione europea forte di una vera unione politica, strategica e militare potrà dire la sua sul piano geopolitico. Stesso discorso vale per il Piano Mattei, una bella idea il cui destino è segnato: diventerà un buco nell’acqua se non si trasformerà in un progetto comune di tutta l’Europa.
Ultimo ma non ultimo il tema dell’economia. Anche qui, occhi aperti. Collaborare con la Cina significa ragionare in termini di parità di trattamento: lo ha chiarito bene Xi Jinping che pretende ovviamente reciprocità, ovvero l’apertura del mercato italiano alla penetrazione delle imprese (e dei prodotti) cinesi, tutte sostenute dalle risorse dello stato comunista. L’apertura del governo italiano alla compagnia automobilistica cinese Byd per la costruzione di fabbriche in Italia rinnega le politiche del governo Draghi a difesa delle imprese italiane e mostra di ignorare l’impatto che le imprese cinesi esercitano sui paesi che aprono le loro porte in modo frettoloso e avventato. Basti pensare al caso della Thailandia. Conosciuta come la “Detroit dell’Asia”, è il mercato più grande del Sud-est asiatico e uno dei primi paesi a sperimentare l’improvvisa ondata di marchi automobilistici cinesi a basso costo – BYD, Aion, Great Wall, Neta di Hozon Auto e Chery – che sottraggono mercato ad altri concorrenti.
Meloni con Pechino rischia di fare la fine di Merkel
In quel paese, Pechino ha completamente capovolto l’equilibrio di potere nel settore automobilistico. “Cavalca il vento, fendi le onde e torna a pieno carico” è il motto che ispira Ma Haiyang, direttore generale di Aion per il Sud-est asiatico. Il mercato è una bellissima cosa, ma Giorgia Meloni dovrebbe studiare questi casi per evitare che la sua eredità possa assomigliare troppo a quella di Angela Merkel che, nel nome delle relazioni commerciali, costruì le condizioni per la dipendenza della Germania dal gas russo, lasciando la sicurezza strategica dell’Europa nelle mani del Cremlino.
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