Il piano
Giorgia Meloni e il ponte con l’Arabia: la partita a scacchi su energia e Difesa
Washington, Gedda, Manama, Bruxelles. Il campo da gioco di Giorgia Meloni è fatto di lunghe distanze in tempi serrati. Al giuramento di Trump la scorsa settimana, fa seguito la missione in corso nel Golfo, tra Arabia Saudita e Bahrein. Mentre il 3 febbraio sarà la volta del Consiglio Ue. Tuttavia per la nostra premier sono questi i giorni più impegnativi. Senza nulla togliere al Campidoglio. Lì si trattava di far presenza. Nel Golfo, Meloni fa politica estera attiva. «Questa non è una visita di cortesia», tiene a far sapere. Le intese economiche Roma-Riyad valgono 10 miliardi. Gli investimenti spaziano dall’energia alla Difesa, abbracciano il turismo – non è passata inosservata la presenza al seguito di Santanchè, ma lì non era il caso di perdersi in faccende domestiche – e atterrano nell’archeologia. Su questa ha fatto show off, definendo l’Italia una «super potenza», con i suoi 60 siti Unesco. Contro l’unico saudita di Al-Ula. Ci sono poi le terre rare, strategiche per il nostro manifatturiero e di cui il suolo saudita si è scoperto ricco. È di novembre scorso l’annuncio della monarchia di un progetto di investimenti in miniere pari a 100 miliardi di dollari.
Giorgia non è cattiva, è che ci arriva dopo
Focus poi sulla Difesa. Dopo la dichiarazione di intenti tra Arabia e Regno Unito, sull’eventuale ingresso della prima nel Global Combat Air Programme (Gcap) – il progetto di Giappone, Italia, Gran Bretagna per la realizzazione del caccia multiruolo stealth, di sesta generazione – Roma si è detta cautamente d’accordo. «Sì al coinvolgimento dei sauditi, ma graduale». È un mezzo ok quello della premier. Ora la parola passa a Tokyo. A poco meno di due mesi dalla visita del presidente francese Macron in Arabia, Meloni non vuole restare fuori dai giochi. Vale la pena menzionare il commento beffardo di Matteo Renzi: «Giorgia non è cattiva, è che ci arriva dopo. Ha cambiato idea sulle trivelle, sull’Euro, sul Jobs Act. Ora anche sull’Arabia Saudita. Da anni dico che il paese sta cambiando. Sono felice per le aziende italiane».
Proselitismo
Ma da Gedda, Giorgia va oltre il Golfo. Nella sua visione italica del Mediterraneo allargato, tira fuori il Piano Mattei e lo propone ai sauditi con l’idea di trovare una spalla nella realizzazione di un «nuovo modello di cooperazione con le nazioni africane». Se poi Riyad voglia stare con noi oppure giocare da sola – o nemmeno entrare in campo – è tutto da vedere. L’Africa comincia a essere un continente sovraffollato. Soprattutto per una monarchia che non ha velleità espansionistiche. Almeno territoriali. Sul proselitismo, la presidente preferisce restare sul vago. Le ambizioni dei sauditi sono conservare la posizione protagonista nel mercato energetico e decidere definitivamente i destini del Medio Oriente. O, più brutalmente, vedere il mondo sciita andare in pezzi.Il crollo della Siria di Assad e il disastro di Hezbollah sono state accolte con grande soddisfazione dalla monarchia. Che è poi riuscita a far eleggere un cristiano maronita a lei vicino come presidente del Libano, Joseph Aoun. «L’Arabia Saudita in tutto il Medio Oriente è un attore chiave», ha sottolineato Meloni. Ci si dimentica però che l’Italia ha da sempre avuto un dialogo preferenziale con la Shia piuttosto che con l’Islam maggioritario sunnita. D’altra parte, Riyad è Riyad. Quindi sarà utile il suo impegno nella pacificazione dei rapporti israelo-palestinesi. «La normalizzazione delle relazioni tra Arabia e Israele può facilitare la soluzione dei due Stati». Di fatto siamo agli accordi di Abramo.
Meloni non parla a nome di tutta l’Unione
E così si arriva a Trump. Da Gedda, la nostra premier ha trovato il modo di dare una sua interpretazione dei dazi. «Lo scontro non conviene a nessuno – ha detto – Comprendo il punto di vista degli Stati Uniti». Per poi mettere sul piatto della bilancia i 150 miliardi di surplus commerciale in nostro favore, contro i 100 miliardi di servizi in disavanzo forniti dagli Usa al mercato europeo. Anche questo è un tema. Che merita riflessione. Prima di tutto in Europa. Ma c’è chi a Bruxelles ricorda che Meloni non parla a nome di tutta l’Unione. Vedi Teresa Ribera la scorsa settimana. D’accordo. Ma allora chi lo fa?
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