Giorgia Meloni ridimensiona i suoi obiettivi per le europee e in Fratelli d’Italia nascono i primi dubbi sulla campagna elettorale e sulle liste, piene di candidati “sconosciuti”. L’atteggiamento ondivago tenuto dalla premier negli ultimi giorni alimenta le speculazioni su un certo nervosismo all’interno del partito della premier. Una Meloni che ha fatto partire una violenta controffensiva sui social e ha ballato sul premierato. Prima gli sfottò a chi pensa che la Rai sia diventata Telemeloni, quindi l’attacco frontale a La7, in un nuovo video diffuso sui canali digitali. Quindi la fuga in avanti e la ritrattazione sulle riforme costituzionali.

A Trento, al Festival dell’Economia, Meloni si era lanciata in un “o la va o la spacca”, che è stato inteso come la spia della volontà di scommettere sul referendum. La dichiarazione è stata interpretata alla stregua di una personalizzazione del premierato. Del tipo: “Se perdo il referendum, mi dimetto”. Poi la correzione del giorno dopo. Quel “chissenefrega” dell’esito della consultazione sul premierato che ha innescato le proteste dell’opposizione. Elly Schlein, segretaria del Pd, la ha accusata di “leggerezza”. Ma l’atmosfera, nel cerchio magico della premier, si è fatta pesante. Preoccupano i sondaggi. Ci si fanno domande sull’appeal dei candidati. Quelli che andranno davvero al Parlamento europeo, al netto della performance di “Giorgia”.

Le ultime rilevazioni stanno facendo emergere un trend per certi versi inaspettato. Il Pd di Elly Schlein sta rosicchiando punti percentuali e si avvicina a FdI. Con un dato tra il 20% e il 22%, si riduce il distacco con il partito di Meloni, che potrebbe non riuscire ad andare oltre il 27%. Per FdI si profi la un risultato del tutto sovrapponibile a quello delle elezioni politiche di due anni fa. Una dinamica diversa rispetto ai migliori momenti politici di Matteo Renzi e Matteo Salvini. Entrambi, rispettivamente alle europee del 2014 e del 2019, avevano toccato il picco massimo del consenso. Il Pd dell’allora premier Renzi toccò il 40% dieci anni fa. Nella scorsa tornata elettorale, la Lega dell’allora vicepremier gialloverde arrivò al 34%. Risultati irraggiungibili per Meloni, che pure si è giocata parecchio, personalizzando la competizione sul suo nome e sulla sua candidatura da capolista in tutte e cinque le circoscrizioni. I sondaggi sono stagnanti e l’asticella si abbassa.

Se prima era realizzabile il sogno del 30%, adesso in Fratelli d’Italia puntano a non scendere sotto il 26% delle politiche del 2022. Un po’ poco, dopo la partenza tambureggiante di una campagna elettorale tutta giocata sullo slogan “scrivi Giorgia”. Dunque, il traguardo del plebiscito sembra già inarrivabile. Inevitabili le prime rifl essioni sullo sprint mancato. Stando alle indiscrezioni che arrivano da FdI, non mancano le perplessità sulla campagna elettorale. Nessuno si azzarda a mettere in discussione la discesa in campo di Meloni. Però l’impressione è che il partito si sia concentrato soltanto su “Giorgia”.

Risultato? Gli altri candidati sono spariti dai radar. “Tutti sconosciuti ai più, tranne Giorgia e Sgarbi”, è il senso delle analisi a destra. Anche alcuni uscenti sperimentati, come Nicola Procaccini secondo in lista al Centro e Carlo Fidanza numero due al Nord Ovest, restano delle seconde file poco spendibili mediaticamente. Perciò, prima della composizione della squadra per le europee, Meloni aveva pensato di chiedere ad alcuni ministri di scendere in campo in prima persona. Per “tirare le liste”. Per rendere l’equivalenza tra FdI e il governo italiano. Poi, tra Palazzo Chigi e Via della Scrofa, hanno optato per la corsa solitaria di Meloni. Che però è a mezzo servizio. Dato che, a differenza degli altri leader candidati, è la Presidente del Consiglio e non può dedicarsi a tempo pieno a incontri elettorali e comizi.

Schlein infatti sta girando molto sul territorio e in FdI cominciano a vedere il cigno nero di un Pd sempre più vicino. Meloni, intanto, coltiva l’ambizione di una maggioranza europea senza socialisti, sul modello del centrodestra al governo in Italia. E incombe la spada di Damocle del referendum. Meloni vuole disinnescare il pericolo di una consultazione a legislatura in corso. Con una ipotetica sconfi tta che, nonostante le dichiarazioni in senso opposto, comporterebbe inevitabilmente le dimissioni di Meloni. Per questo motivo la premier cercherà di spostare il referendum a dopo le politiche del 2027 oppure in concomitanza con il prossimo voto nazionale.