L'appello
Cercasi Giorgia, disperatamente. Dalle questioni olimpiche alle figuracce europee: torni a fare politica, di influencer siamo già pieni
Che fine ha fatto Giorgia Meloni, la premier di una ‘nazione’ – come dice lei – che rappresenta la settima economia mondiale? Dov’è quella sorridente cometa politica che, insieme con il campanello consegnatole dal predecessore Mario Draghi, sembrava destinata a raccoglierne l’eredità sul piano dello standing internazionale e su quello delle riforme per la modernizzazione del paese? Pochi giorni fa la premier – che per fortuna delle sorti patrie è di stanza a Parigi – è passata alle cronache per l’epico atto di chiedere a Thomas Bach, il presidente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio), che nelle competizioni siano le donne a competere con le altre donne – ma pensa un po’ – dopo il match olimpico che ha visto il confronto tra l’algerina Imane Khelif, la pugile iperandrogina che convive con una produzione esagerata di testosterone, e Angela Carini, l’atleta italiana che ha dolorosamente gettato la spugna per evitare il peggio.
Nel mondo dello sport il tema è rilevante, non c’è dubbio. Ma c’è da chiedersi se sia il caso di trasformarlo in una questione nazionale con tanto di passerella di comunicati e il rischio di aprire una crisi diplomatica con l’Algeria che difende la sua atleta e non è certo sospettabile di complicità con il progressismo lgbtqia+. Il bollettino del governo dice che al centro del colloquio c’è stato uno scambio di vedute sull’andamento dei Giochi e sulla preparazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. In verità, Meloni ha approfittato dell’occasione per farsi bella di una battaglia contro i brutti e cattivi che, promuovendo l’ideologia woke, vogliono seminare lo scompiglio nell’ordine naturale dei generi. E così, il povero Bach ha dovuto dichiarare che entrambi sono “d’accordo sul chiarire e migliorare il background scientifico di cui abbiamo parlato” e che “rimarranno in contatto per valutare come affrontare la questione per il futuro”.
Nessuna sorpresa
Nientepopodimeno, ohibò. Ma c’è di più. Sei a Parigi e non cogli l’attimo per una storica e commovente photo opportunity? Ecco dunque Giorgia, novella influencer carica di pathos, faccia a faccia con Angela Carini: “Meriti una gara equa”. Carezza sul viso, testa reclinata e sorriso amorevole per la frastornata pugile finita nel tritacarne mediatico, in un trionfo di maternalismo populista che fa palpitare tutta la nazione come neanche l’Istituto Luce sarebbe stato capace di fare. Nessuna sorpresa, in fondo, da chi proclamò: “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana: non me lo toglierete”.
Quando tornerà a fare politica?
Nessuno glielo toglie, ma dopo una giornata tanto titanica resta una domanda: quand’è che il presidente del consiglio tornerà a fare politica e a chiudere almeno uno dei numerosi dossier aperti e mai completati? Tra questi c’è, per esempio, la nomina del nuovo commissario italiano per la nuova compagine di governo dell’Unione. Conosciamo il pregresso non proprio brillante. Per diversi mesi Meloni ha cinguettato con Ursula von der Leyen con l’obiettivo di diventare un pilastro della nuova maggioranza e di spuntare per l’Italia un commissario di peso. Sappiamo com’è andata.
La premier italiana ha votato contro la trimurti europea – von der Leyen, Costa e Kallas – precipitando nel girone dei dannati con l’ungherese Viktor Orbán. Altro che erede di Draghi: un bel patatrac che l’Italia pagherà caro. Meloni ha già mancato in modo maldestro l’obiettivo di ottenere per l’Italia l’incarico al nuovo inviato per il fronte sud della Nato assegnato a uno spagnolo. Potrebbe essere stata la prima ritorsione dopo il voto dei suoi al parlamento europeo. Nel frattempo, ha sbraitato contro il rapporto europeo sulla libertà di stampa, poco tenero con il nostro paese: una buona occasione per sopire e troncare si è trasformata nell’ennesima figuraccia. Sapevamo inoltre che entro la fine di luglio l’Italia avrebbe dovuto indicare il nome del nuovo commissario per un incarico di prestigio, preferibilmente dotato di portafoglio, ma allo stato attuale – e siamo ad agosto – non abbiamo ancora il nome né tantomeno certezze sul valore politico della materia. E che dire della partita delle riforme sul versante interno?
Il premierato e le riformette
L’autonomia differenziata è una legge soltanto procedurale che lascia quasi tutto com’era prima (cioè molto male): un provvedimento che serve solo alla Lega per darsi un tono con il proprio elettorato nordista ma che scatena già i sacri fuochi del frontismo popolare e meridionalista. Sul punto, Meloni non è più pervenuta. Il premierato è una riforma pasticciata, condotta in modo ottuso e incompetente, che rischia di trasformarsi nell’ennesimo boomerang non appena i cittadini saranno convocati per il referendum. Così, da qualche tempo, Meloni preferisce glissare. C’è poi la lista di una serie di riformette, annunciate con rullo di tamburi ma deludenti, montagne che hanno partorito topolini: giustizia, carceri, liste d’attesa in sanità e via elencando. La domanda sorge spontanea: quando Meloni smetterà di fare l’influencer e tornerà a fare politica?
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