Alla fine ha deciso di anticipare il Consiglio dei Ministri e di presiederlo. Fino alle quattro di ieri pomeriggio Giorgia Meloni era data in partenza per Bruxelles dove è in corso da ieri il vertice Ue-Celac con i paesi del Sudamerica. Deve esserle sembrato eccessivamente polemico e finanche segno di debolezza delegare al vicepremier Tajani la prima riunione dei ministri dopo lo scontro con il Guardasigilli sulla Riforma della Giustizia, lo stop sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa, nel mezzo dei casi Santanchè -Delmastro- La Russa. Senza sottovalutare che Bankitalia ha giustapposto suonato l’allarme su crescita e debito.

Un Cdm importante: mette nell’agenda del governo le riforme costituzionali; avvia – dopo otto mesi di rinvii- la mappatura delle concessioni pubbliche, anche dei balneari. Giorgia Meloni non poteva non esserci. Dunque ha rinviato alla sera (è partita alle 19) il suo arrivo a Bruxelles dove comunque aveva un impegno con il segretario della Nato Jens Stoltenberg. Che poi tutta questa incertezza di arrivi e partenze abbia creato stupore e fastidio a Bruxelles dove tutti i leader europei hanno comunque iniziato i lavori, è uno dei tanti effetti collaterali del modus operandi e decidendi di Giorgia Meloni. Una premier in fuga dai suoi alleati. E dalla stampa. Prima o poi il dossier “comunicazione del governo Meloni” dovrà interessare l’Ordine dei giornalisti e la Fnsi. E, più di tutto, gli elettori.

La questione è drammaticamente semplice: i giornalisti sono un fastidio, un problema, una fatica in più, a maggior ragione se facendo domande cercano di arrivare al punto, magari cogliere una contraddizione, un controsenso. Oltre che, ben volentieri, la verità. Quando ci sono. Se la drammatica conferenza stampa di Cutro (metà febbraio) doveva essere il punto più basso e però magari anche l’errore da dimenticare in fretta frutto di inesperienza, quanto è successo dopo, in questi cinque mesi, dimostra che invece siamo davanti ad un metodo.

Il cui paradigma è andato in scena in modo esemplare in questo fine settimana. Domenica mattina la premier ha partecipato al viaggio inaugurale del collegamento diretto con FrecciaRossa da Roma Termini a Pompei. Insieme al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, reduce dalla doppia gaffe con Sgarbi al Maxxi e al premio Strega dove, pur in giuria, ha promesso che avrebbe letto i libri in concorso, Meloni ha fatto in modo che sia in partenza a Termini (“state dentro al vagone, motivi di sicurezza” è stato intimato ai cronisti) che all’arrivo a Pompei fosse evitato ogni momento di incontro con la stampa.

Che era ovviamente numerosa non solo perché la premier è pur sempre la premier, ma anche perché sono tante le questioni aperte in maggioranza: dalla giustizia al fisco, dalla carta “Dedicata a te”, alla rivolta dei governatori preoccupati per il continuo arrivo di immigrati. Per non parlare del caro-vita e dei mutui. Tanti temi e così poche occasioni di parlarne direttamente con il capo dell’esecutivo.

A Pompei è andato in scena un triste inedito almeno negli ultimi trent’anni: i giornalisti, a cui era già stato impedito di scendere dal treno, sono stati poi bloccati dalle 12 alle 13 – il tempo della visita della delegazione del governo al sito archeologico – in un recinto nel cortile d’ingresso senza un filo d’ombra e senza acqua. Il rischio svenimenti è stato sventato grazie ad alcuni addetti del sito che hanno procurato ombrelli bianchi e bottigliette d’acqua. Ovviamente c’era una via d’uscita (diversamente sarebbe stato un sequestro): andarsene in direzione opposta a quella della delegazione di governo.

Solo quando la minaccia di una cronista – “stavolta ci rivolgiamo all’Ordine dei giornalisti” – è stata recapitata a chi di dovere, la premier ha concesso qualche battuta. Nulla, ovviamente, sull’assenza del ministro del Turismo Daniela Santanchè. E nulla sul fatto che il servizio inaugurato ieri in pompa magna prevede al momento una cosa al mese. Tranne un imbarazzato: “Sarà implementato”. Il giorno dopo, cioè ieri, è andato in scena il più classico scarica barile. Ad esempio: “Hanno organizzato tutto il ministero della Cultura e le Ferrovie”.

Si sa bene che palazzo Chigi ha un protocollo che viene attivato ogni volta che il Presidente del Consiglio esce dalla sede del governo. Protocollo che è invece sempre restio dal comunicare l’agenda del premier. Del resto non può neppure farlo se la segreteria personale non condivide gli appuntamenti con cerimoniale e protocollo.
Chiusa nell’imbarazzo la missione a Pompei, Meloni è partita per Tunisi dove, insieme a Ursula von der Leyen e al premier olandese Mark Rutte, nel tardo pomeriggio di domenica avrebbe firmato il Memorandum che è il primo passo concreto per evitare l’implosione socio-politica-economica e migratoria della Tunisia. Qui, sempre secondo i racconti dei presenti, la stampa italiana era assente in blocco. Tranne qualche agenzia di stampa.

Assente anche la Rai, abbastanza clamoroso vista l’importanza geopolitica del Memorandum raccontato da Meloni come una “vittoria personale” e la prova di cosa significhi il “piano Mattei per l’Africa”. Nell’ultimo mese Meloni è andata tre volte a Tunisi per preparare il terreno a von der Leyen e Rutte. Le prime due volte la stampa accreditata – e che da anni ormai paga di tasca propria i viaggi – è stata chiusa in una stanza d’albergo. In attesa. Nessun contatto diretto né con la premier, meno che mai con il presidente Saied. Con calma, ai giornalisti è stato poi recapitato via whatsapp un video girato con telefonino dallo staff… È chiaro che alla terza occasione non ci va più nessuno.

Chissà, stavolta il timore, da parte del governo, poteva essere smascherare il fatto che il Memorandum non ha in dote un miliardo di euro ma molto meno. Oppure una domanda sul fatto che il “muro navale” – la carta vincente della propaganda delle destre – è diventato alla prova del governo un più ragionevole seppur incerto compromesso tra le parti.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.