La temporanea tregua concessa da Donald Trump sui dazi è l’occasione, l’ultima forse per l’Europa, di tentare una trattativa che eviti una guerra commerciale che oltre a salassare i mercati, finirebbe per allargare ancora di più la distanza tra i due lati dell’Atlantico. Il compito di solcare la via del dialogo ricadrà su Giorgia Meloni che anche questa volta ha saputo adottare la tattica migliore, quella del niente panico e sangue freddo. Nessuno ha le credenziali e soprattutto l’affinità politica della Premier con The Donald per poter avviare un dialogo costruttivo che miri a mantenere unito il fronte occidentale. Perché se è vero che l’urgenza è data dalla fragilità dei mercati e dal bagno di sangue dei listini, è necessario tenere presente che in ballo vi è anche l’unità di un mondo occidentale che sulle eventuali ferite economiche potrebbe covare risentimenti e odi che rischierebbero di risultare fatali, soprattutto nell’attuale contesto internazionale.

I malumori di Parigi

La missione di Meloni, che il 17 aprile sarà a Washington, all’inizio è stata vissuta con forti malumori da Parigi, che stenta ad accettare di non essere più la voce dell’Europa, ma lo fa spesso con l’ipocrisia di chi sembra voler tutelare una sorta di unità europea, che ad oggi non si è ancora manifestata. Così è sembrata l’uscita del ministro dell’industria francese Marc Ferracci secondo cui “se cominciamo ad avere discussioni bilaterali, l’unità Ue finirà per spezzarsi”, benché in passato Parigi non abbia dimostrato remore quando si è trattato di incarnare “motu proprio” la rappresentanza europea. La gelosia d’oltralpe ha colto anche il ministro francese per gli Affari europei Benjamin Haddad: “Se si va negli Stati Uniti divisi, si pensa di essere più forti che se si va tutti e 27, con 450 milioni di persone?”. Alla fine è intervenuto il presidente Macron ha stemperare i toni, parlando di una occasione da sfruttare.

L’idea di Merz

Mentre Parigi piangeva lacrime amare, Berlino più astutamente con il neo cancelliere Merz che si è mantenuto su una linea favorevole alla missione meloniana con un secco: “Accolgo con favore tutti i tentativi di parlare con Trump. Meloni e Tajani lavorano per difendere gli interessi dell’Europa”. Si tratta di una mossa abile, perché Merz sa bene che se la missione di Giorgia Meloni dovesse ottenere ottimi risultati, l’economia tedesca se ne gioverebbe. Del resto Roma e Berlino subirebbero più di tutti la politica dei dazi e le eventuali tariffe sulle esportazioni. Anche all’interno dei confini nostrani le opposizioni che per settimane hanno attaccato la cautela meloniana, parlando di attendismo ingiustificato, o di politica da “influencer” hanno subito la notizia del blitz.

Le priorità dei dem

Mentre Matteo Renzi ha preferito consigliare Meloni con alcune proposte rilanciate attraverso i propri canali social, Schlein al contrario ha scelto quale priorità il piano di volo del Premier Israeliano Benjamin Netanyahu. Del resto la linea Schlein, pausa teatrale a parte, sembra essere quella di seguire la linea politica del Conte Mascetti ogni qual volta si palesi all’orizzonte un quesito che richieda una presa di posizione politica concreta e lineare. Ma al di là delle beghe nostrane, ignorate in primis da Meloni che in questo momento naviga su frequenze diverse, l’incontro alla Casa Bianca sarà l’occasione decisiva per la Premier, che per usare le parole di Politico dovrà ora dimostrare di che pasta è fatta.

Le leve di Giorgia

Sempre secondo la celebre rivista nella sua edizione europea, “l’Ue non poteva scegliere emissaria migliore”: non è un mistero che Meloni sia l’unica leader del Vecchio continente ad avere con Trump un buon rapporto, oltre ad appartenere al mondo conservatore, che con tutte le sue sfumature anche il Tycoon incarna. Se Meloni dovesse ritornare a Roma con l’auspicato “0-0”, ovvero con una vittoria, verrebbe definitivamente consacrata come pontiera tra le due sponde dell’Occidente. Ora è tutto nelle sue mani, o per meglio dire, nella sua capacità di saper reggere alla strategia trumpiana, facendo leva anche sui tasti geopolitici attualmente sensibili per gli Stati Uniti.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.