Il modo migliore per raccontare la vita di Giorgio Napolitano credo sia quello di partire dalla fine, dunque dalla cronaca di quest’ultima settimana. Napolitano si è spento il 22 settembre, pochi giorni fa, all’età di 98 anni. Martedì alla Camera, per la prima volta all’interno dell’aula di Montecitorio, si sono tenuti i funerali di Stato in forma laica del presidente Emerito della Repubblica. Un avvenimento di per sé storico. A restituire la misura dell’importanza che Giorgio Napolitano ha ricoperto per la vita politica italiana, e non solo, la presenza di tanti capi di Stato stranieri. Due su tutti, il presidente francese Macron e quello tedesco Steinmeier. Ma c’è un altro momento significativo accaduto nelle scorse ore e che non fatichiamo a definire storico: la visita di papa Francesco alla camera ardente di Napolitano allestita in Senato. Anche qui siamo di fronte ad un unicum; mai prima d’ora infatti un pontefice aveva varcato la soglia di palazzo Madama. Il fatto che sia accaduto in questa occasione, per rendere l’ultimo omaggio a un presidente non cattolico, carica di un significato ancor maggiore il gesto di Bergoglio. Il riconoscimento a una vita spesa per il bene comune, che incarna il vero sentimento religioso; una testimonianza del forte legame che Napolitano è riuscito a costruire, oltre la fede, con i pontefici che ha conosciuto; in molti hanno sottolineato la particolare affinità con Benedetto XVI.

Ma chi era Giorgio Napolitano? Era un comunista, fiero di esserlo. Si iscrisse al PCI non tanto per ragioni ideologiche, come ha ricordato Anna Finocchiaro martedì a Montecitorio durante l’ultimo saluto, quanto per un «impulso morale; perché il PCI era il partito che aveva più combattuto il fascismo, e perché il PCI si mescola al popolo». Valori altissimi che la sinistra (mi permetto di aggiungere), tanto più quella attuale, ha man mano smarrito nel tempo fino a non potersi più definire tale. Ma non è questa la sede per parlarne. Napolitano nasce a Napoli nel 1925 e si laurea in Giurisprudenza alla Federico II con una tesi, da buon meridionalista, sul mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia. A 28 anni entra a Montecitorio per la prima volta come deputato. Dopo la morte di Togliatti intraprende una graduale scalata ai vertici del partito, guardando dapprima favorevolmente al dialogo con socialisti e democristiani negli anni dell’apertura a sinistra, poi ricoprendo ruoli sempre più significativi per il partito in campo internazionale. Nel 1978 è il primo dirigente comunista a cui viene concesso di recarsi negli Stati Uniti per tenere delle conferenze in alcune delle più importanti università americane.

Si attesta sempre di più sull’ala moderata del PCI attuando una politica in piena sintonia con i valori socialdemocratici. Il riformismo di Napolitano aveva come obiettivo principale quello di impregnare il Partito comunista di maggiore europeismo. Arrivò egli stesso a sostenere che il riformismo europeo era il reale e necessario punto di approdo del Partito Comunista Italiano. Posizioni che naturalmente lo portarono a distanziarsi dall’impostazione sovietica. Il suo atlantismo gli varrà il celebre appellativo di Henry Kissinger: «Napolitano? Il mio comunista preferito». Morto Berlinguer, è lui uno dei principali indiziati alla successione. Il nuovo segretario sarà però Natta. È parlamentare europeo dal 1989 al 1992, anno in cui ritorna a Montecitorio per andare a sedersi sullo scranno più alto. Prende il posto di Oscar Luigi Scalfaro (eletto intanto al Quirinale) come presidente della Camera. La sua presidenza è segnata dagli anni complicati di Tangentopoli. Napolitano si trova nella non facile situazione di dover guidare quello che veniva definito “il Parlamento degli inquisiti”. Lo fa con il suo solito rigore morale, che non esita ad applicare in più occasioni per difendere un’istituzione che doveva fare i conti con un’opinione pubblica sempre più ostile e con una magistratura che sull’onda dell’entusiasmo e dello sdegno popolare si stava lasciando prendere la mano. Rimane però solo due anni alla presidenza della Camera per via dello scioglimento anticipato del Parlamento nel 1994.

Nel 1996 diventa ministro dell’Interno del Governo Prodi; è il primo comunista al Viminale. Nasce in questo periodo la famosa legge Turco-Napolitano in materia di immigrazione che tra le altre cose istituisce i centri di permanenza temporanei (di cui tanto si discute in questi giorni) per gli immigrati clandestini. Dopo l’esperienza di governo ritorna sui banchi da eurodeputato fino al 2004. L’anno successivo il presidente della Repubblica Ciampi lo nomina Senatore a vita. Ma è nel 2006 che la storia politica di Giorgio Napolitano raggiunge la sua sublimazione. Alla quarta votazione è eletto presidente della Repubblica. Se Pertini fu il primo socialista, Napolitano è il primo comunista a salire al Quirinale. Cito Pertini non a caso, perché i due condividono un altro primato a loro riservato (e speriamo nel prossimo futuro a molti altri). Sono gli unici due capi di Stato ad aver assistito alla vittoria dei Mondiali di calcio della nazionale italiana. Pertini nel 1982 a Madrid, Napolitano il 9 luglio del 2006 (in maniera più composta) a Berlino.

Varie le crisi e i governi con i quali ha dovuto fare i conti. Prima Prodi, poi Berlusconi. Negli anni più difficili per l’economia italiana (e mondiale) decide di affidare il comando dell’esecutivo a un governo tecnico guidato da Mario Monti, che qualche giorno prima aveva nominato Senatore a vita. Nel 2013 arriviamo ad un altro momento cruciale nella vita di Napolitano (e del Paese). Giunto alla fine del suo mandato viene sostanzialmente costretto a rimanere al suo posto da una politica più che mai in fase di stallo dopo le elezioni del 2013. Napolitano diventa così il primo presidente della nostra storia repubblicana a succedere a sé stesso. In occasione del giuramento a camere riunite riserverà toni molto duri ad un Parlamento che in maniera tragicomica, più veniva bastonato più applaudiva. Il secondo mandato sarà comunque di breve durata a causa della già avanzata età di Napolitano, che si dimetterà nel gennaio del 2015. In questo anno e mezzo giurano nelle sue mani altri due presidenti del Consiglio: Enrico Letta e Matteo Renzi. Gli succederà come sappiamo il nostro attuale presidente Sergio Mattarella, anche lui oggi in carica per la seconda volta consecutiva.

Per concludere degnamente il racconto della vita di Giorgio Napolitano vorrei prendere ancora in prestito alcune parole pronunciate durante l’estremo saluto a Montecitorio, questa volta dal figlio Giulio: «Ricordo che in prima elementare lo ritrassi in un disegno accompagnato dalla scritta “Mio papà fa il deputato al Parlamento”. Lo ritrassi alla scrivania con la penna in mano, a leggere libri e saggi, per 50 anni l’ho visto in quella posizione. Per mio padre la politica non era solo un’attività intellettuale ma partecipazione fisica ed affettiva. Non sopportava la demagogia, lo spirito di fazione, la riduzione del confronto politico ad urlo ed invettiva. La politica era inscindibile dalla vita privata e familiare, era il nostro orizzonte quotidiano. Ciò non gli impediva di essere un marito e un padre affettuosissimo».

 

 

 

Avatar photo

Nato a Cosenza 27 anni fa, vive a Roma dal 2015. Ha lavorato come giornalista tirocinante presso Mediaset RTI, nella redazione politica di News Mediaset (Tg4, StudioAperto, TgCom24). È laureato in Filologia Moderna alla Sapienza e ha conseguito il Master in Giornalismo radiotelevisivo con Eidos Communication. Si occupa di giornalismo politico. Redattore di Radio Leopolda, collabora alla Camera dei deputati. Ha scritto un libro su Giulio Andreotti. È fortemente interista, ma ha anche dei difetti