L'informazione cede al giustizialismo
Giornali schiavi dei Pm, ecco come vite e carriere vengono bruciate dai media
C’è un dato, nell’annuale report di Antigone (associazione per i diritti e le garanzie del sistema penale), che conferma, a proposito delle pressioni e processi mediatici, l’allarme lanciato dal Riformista e segnalato dai magistrati di AreaDg e dalla giunta della Camera penale di Napoli. Su un campione di più di 7.000 articoli di stampa, in oltre il 60% dei casi si è riscontrato un approccio colpevolista alle vicende giudiziarie o un atteggiamento acritico rispetto alle ipotesi dell’accusa. È un dato che la dice lunga sulla deriva giustizialista di opinione pubblica e una larga parte dei media.
La percentuale è stata stilata all’esito di una ricerca condotta dall’Unione delle Camere penali ed è evidenziata nel rapporto Antigone nel paragrafo in cui si affronta un tema sempre attuale, quello del mostro sbattuto in prima pagina, dei processi sommari e popolari fatti in tv o su alcuni giornali prima ancora che nelle aule di giustizia. «A farne le spese non sono solo le garanzie per le persone coinvolte nei procedimenti penali – si legge nel rapporto – ma anche la serenità di giudizio del magistrato, la sua effettiva imparzialità e la necessaria riservatezza delle indagini».
Per quanto negli ultimi anni siano state introdotte norme a tutela della privacy di chi finisce agli arresti o sul registro degli indagati, «molto spesso giornali e tv diffondono nomi e immagini di persone senza preoccuparsi del loro diritto alla riservatezza», evidenzia il report di Antigone. Perché? Di certo non è sempre facile bilanciare diritti costituzionalmente garantiti, come quello di cronaca e di conoscere le modalità con cui è gestita la giustizia con il diritto alla privacy, e – diritto spesso dimenticato – quello alla presunzione di innocenza. Inoltre è sempre più diffusa la tendenza ad appassionarsi alla fase delle indagini preliminari più che alle fasi successive di un processo: e su questo spetto ci mette lo zampino il sistema giustizia con i tempi troppo lunghi dei processi, per cui diventa impossibile seguire l’iter giudiziari che durano dieci o vent’anni.
Di recente il Csm ha provato a porre un argine dettando delle linee guida per i rapporti tra stampa e magistratura, ma – osserva Antigone – «il meccanismo attuale fa sì che i giornalisti si trovino spesso in una relazione di dipendenza dalle autorità giudiziarie che sono la loro fonte privilegiata». Di qui le falle del sistema. «Il sistema giudiziario fatica da tempo a garantire il segreto istruttorio nella fase iniziale del procedimento penale, cioè a garantire che gli atti non verranno diffusi illegalmente e dunque non verranno pubblicati dalla stampa». La violazione del segreto è un reato, tuttavia i responsabili non vengono quasi mai individuati: nessuno, in genere, indaga sulle fughe di notizie, eppure quanti scoop giornalistici e quante carriere di magistrati sono passati anche per indiscrezioni su indagini raccontate prima del tempo. E quanti drammi si sono consumati per via di avvisi di garanzia, intercettazioni o indiscrezioni investigative rivelati prima ai giornalisti che ai diretti interessati.
Anche la storia giudiziaria di Napoli è piena di casi del genere, di fughe di notizie su indagini cosiddette “choc” che si sono sgonfiate subito in sede di Riesame o nelle tappe successive dell’iter giudiziario. «Serve una svolta culturale – sostiene Antigone – e dovrebbe riguardare anche gli operatori della giustizia, i quali hanno approcci e capacità comunicative differenti». Il problema riguarda anche la comunicazione delle forze di polizia, «spesso troppo autocelebrativa e poco rispettosa della presunzione di innocenza». «La diffusione di dati sensibili è la norma, come è la norma l’assenza di condizionali nel presentare le ipotesi accusatorie», aggiunge l’associazione. Il fenomeno dei processi mediatici, paralleli ai processi veri e propri, è ampio e non riguarda soltanto personalità note del mondo politico o imprenditoriale.
«A fare le spese di una sovraesposizione mediatica – ragiona Antigone – sono anche le persone sprovviste di mezzi, specie su scala locale». Riflettendo in termini di proposte, si è pensato a rimedi compensativi per chi è danneggiato dal processo mediatico, qualcosa di simile a quanto già avviene per l’ingiusta detenzione o per la durata irragionevole del processo, oppure a considerare una sorta di attenuante per chi subisce un processo mediatico prima di quello giudiziario e viene condannato, o una compensazione monetaria per chi finisce alla gogna e viene poi prosciolto. Ma al momento nessuna proposta è stata accolta e il problema ancora esiste.
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