La legge ha rotto il giocattolo
Giornalisti nel panico: la presunzione di innocenza ha fatto sparire le fughe di notizie
È pieno di orfani e vedove inconsolabili il cimitero delle fughe di notizie. Le norme sulla presunzione di innocenza stanno facendo strage di un certo giornalismo di cui francamente non si avvertiva alcuna necessità e che, sotto l’ombrello della libertà di stampa, ha consumato anche innumerevoli misfatti negli ultimi decenni. Un modello vincente di magistratura e un assetto in modalità combat della carta stampata sono stati i pilastri per la costruzione di un potere separato e distinto da quelli da cui pur legittimamente provengono. Terzo e quarto potere, troppo volte, hanno dato vita a un ibrido pericoloso, tentacolare, sottratto a qualunque controllo ed esentato (dai medesimi magistrati) da ogni responsabilità. Un’alleanza insana che ha portato vantaggi enormi a entrambi i protagonisti dell’incestuoso connubio.
Basterebbe scrutare le redazioni di importanti quotidiani o settimanali per accorgersi quali vantaggi e quali carriere sono stati assicurati a giornalisti che hanno avuto quale esclusivo merito, o quasi, quello di avere buoni agganci nei piani alti della giustizia inquirente. Né è da pensare che editori, sempre in mezzo a pasticci giudiziari, non abbiano avuto un occhio benevolo verso questa modalità dell’informazione. Fare scoop giudiziari al tempo stesso comportava la creazione di interlocuzioni privilegiate con i mastini delle procure della Repubblica, rapporti che alla bisogna potevano rivelarsi – come dire – preziosi agli occhi di direttori compiacenti ed editori in fibrillazione. Senza contare che, qua e là, qualche benefit ulteriore non è mancato per qualche cronista approfittando degli attacchi di collera di qualche boss, della solita notizia riservata portata dai soliti servizi, di qualche intercettazione “addomesticata” per far apparire vulnerabile e minacciato il cronista di turno, del verbo di qualche pentito più disponibile.
Un mondo opaco, con poche luci che si è praticamente alimentato a spese della vita e della dignità di migliaia di cittadini additati come mostri e sbattuti in prima pagina. Senza che mai una volta un’indagine, guarda caso, scoprisse un colpevole. Persino di fronte all’evidenza si sono coperte nefandezze e seppellite conclamate violazioni del segreto istruttorio, senza che (si badi bene) sia mai esistita alcuna congiura o alcun complotto come pensano ancora le più sprovvedute tra le vittime. Il sistema si autoproteggeva spontaneamente nella convinzione che le fughe di notizie fossero un male necessario da far pagare al malcapitato di turno in nome del supremo interesse della corporazione a poter agire a mani libere e con il maggiore consenso sociale possibile. Poi la legge sulla presunzione di innocenza ha rotto il giocattolo e la riforma Cartabia – prevedendo un apposito illecito disciplinare per chi viola il dovere di comunicare con la stampa solo con apposite conferenze – hanno praticamente innalzato una diga che sta prosciugando il lago salmastro e melmoso di un certo giornalismo.
Non passa giorno senza che si elemosinino interviste, dichiarazioni, attestati, si lancino moniti contro la folle compromissione della libertà di stampa che il nuovo corso starebbe imprimendo al mondo della giustizia e della informazione. Si prefigurano sciagure inenarrabili, con una pubblica opinione resa sorda e cieca dal silenzio dei magistrati sulle indagini in corso. Si dirà: ma le norme non impediranno i soliti commerci di file e verbali consegnati a mano o con accorgimenti telematici da narcos. È vero, ma il rischio che il procuratore incappi in qualche impiccio disciplinare è ora enorme e l’aria è cambiata anche tra le toghe, in gran parte stufe del fango arrivato loro addosso per la spregiudicata ambizione di pochi. Si dirà: ma allora sarà la polizia giudiziaria ad alimentare il mercato nero degli scoop. Anche questo è un errore. Quasi mai, a dir poco, le carte ai giornalisti sono arrivate da poliziotti e carabinieri. Una maggiore esposizione alle indagini, verifiche gerarchiche al proprio interno e uno stile diverso, a dire il vero, hanno quasi sempre tenuto fuori la polizia giudiziaria da questo circuito.
Tranne, è pur vero, i pochi casi di cooptazione e integrazione operativa tra pubblici ministeri, giornalisti e poliziotti che costituiscono uno dei più pericolosi vulnus con cui la democrazia di questo paese si sia dovuta confrontare e sul quale ancora scarsa è l’attenzione della politica. Debellare questi grumi opachi sarebbe di fondamentale importanza per dare trasparenza alla giustizia penale italiana, soprattutto impedendo che procuratori, in nome del “fare squadra”, si portino dietro come salmerie uomini di polizia di propria fiducia e ai propri esclusivi ordini. La questione coinvolge, in primo luogo, le responsabilità del ministero dell’Interno che dovrebbe impedire alle singole forze di polizia di cedere alle richieste dei procuratori e, anche questa volta, una bella norma disciplinare per i magistrati varrebbe più di molte leggi e circolari.
La legge sulla tutela della presunzione di innocenza e le sue imminenti ricadute disciplinari stanno sconvolgendo un mondo la cui reazione non si sta facendo attendere e che non mancherà nei giorni a venire. Certo qualcuno dovrebbe spiegare perché chiudere i rubinetti delle fughe di notizie e serrare i ranghi delle corride mediatiche leda o metta in pericolo l’autonomia del pubblico ministero o dell’intera magistratura italiana. Non dovrebbe essere esattamente l’opposto, viene da chiedersi.
Ma intanto, come è noto, la gallina che canta…
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