Tu guardi i milioni di giovani che, dal 1984 ad oggi, hanno partecipato alle Giornate Mondiali della Gioventù e ti viene spontaneo domandarti perché il mondo non sia cambiato. All’apparenza – e molti critici provano a sottolinearlo sarcasticamente ogni volta – sembrerebbero eventi molto partecipati, ma inutili. Incapaci di incidere nella società. Woodstock cattoliche divertenti e colorate che lasciano il tempo che trovano. Tuttavia, avendole vissute in prima persona parecchie ed avendo contribuito ad organizzarne una (quella di Roma 2000), penso esattamente il contrario.
Le GMG non sono solo bandiere sventolate al vento, né solamente happening di preghiera, ma un segno dei tempi che continua a mostrare una gioia che supera il tempo. Una delle poche occasioni di riflessione anche politica capace di coinvolgere giovani di tutto il mondo. I tre papi che le hanno celebrate, infatti, nei loro discorsi ufficiali, hanno sempre invitato i giovani a prendere in mano la loro vita per farne qualcosa di grande. A migliorare la qualità della loro cittadinanza. Tre papi molto, ma molto diversi tra loro, capaci di farsi universali non perché omologanti ma perché paternamente consapevoli delle molteplicità umane e che raramente si sono limitati a dare un messaggio spirituale senza incarnarlo nella concretezza di un impegno anche civile. Penso al discorso di San Giovanni Paolo II a Tor Vergata il 19 agosto del 2000 – che personalmente ha cambiato la mia vita – dove il Papa polacco invitava i giovani a non rassegnarsi: “Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti…”. Tanta roba.
Un mandato per il terzo millennio al quale, molti di noi, stanno ancora cercando di rispondere con le loro vite. Una richiesta di impegno per la pace che mostra la profezia di quel messaggio. O penso ai discorsi sulla bellezza del creato di Benedetto XVI a Sidney, in particolare quello in occasione della festa di accoglienza presso la baia di Barangaroo, il 17 luglio 2008 dove oltre a parlare delle ferite della terra (“…l’erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo”) invitava i giovani a riflettere sul fatto che “…non soltanto l’ambiente naturale, ma anche quello sociale ha le sue cicatrici…”. Una sorta di preludio alla Laudato sii e all’impegno della Chiesa sulla salvaguardia del creato, tanto attuale in questi giorni dove negazionisti climatici ed ecoansiosi si stanno scontrando mediaticamente e ideologicamente con il rischio di allontanare le persone di buona volontà da un tema così importante.
Oppure – e ancora rosico di non esserci potuto andare, ma già avevo 4 figli ed era impossibile – il discorso di Papa Francesco sul lungomare di Copacabana il 27 luglio del 2013 a Rio de Janeiro. In quella occasione, in una cornice indimenticabile, il Papa invitava i giovani a non guardare la vita dal balcone, ma ad essere artefici del futuro: “…per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Voi… Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non ‘guardate dal balcone’ la vita, mettetevi in essa, Gesù non è rimasto nel balcone, si è immerso, non ‘guardate dal balcone’ la vita, immergetevi in essa come ha fatto Gesù…”. Un discorso esaltante e motivante. Un mandato alla partecipazione, molto in continuità con quello di Roma nel 2000.
Anche io – ormai quarantaseienne – mi sono domandato spesso, davanti alle difficoltà del tempo attuale, dove fossero i frutti delle GMG, dove si fossero nascosti i milioni di giovani raggiunti da questi messaggi di speranza. Poi incontrando semi di bene sparsi qua e là, ho compreso che quel comune denominatore, aveva portato e sta portando tanti frutti generativi. Molte volte nel nascondimento di famiglie incasinate e sorridenti che si aprono all’accoglienza, altre nella quotidianità di professionisti che non si rassegnano alla mediocrità e mettono amore nel proprio lavoro, altre ancora in progetti di solidarietà o nel servizio al bene comune. E ho capito che la domanda era un’altra: cosa sarebbe del mondo senza la generazione GMG? D’altronde, ce lo dice in modo chiaro Papa Francesco: “Il tempo è superiore allo spazio”. Perché non è importante occupare spazi, quanto generare processi e le Giornate Mondiali sono start-up di bene che portano frutto nel tempo. E allora mi piace pensare che tutti i ragazzi che in questi quasi 40 anni hanno partecipato alle varie GMG, da Roma 1984 a Lisbona 2023, si siano immischiati nel mondo e che siano come un fuoco acceso sotto la cenere che non lo vedi, ma c’è e riscalda.