“Il 21esimo secolo ci sta portando delle forme di violenza che sono barbare, l’aspettativa di un tempo caratterizzato dall’educazione, dalla
conoscenza, dall’educazione sono tramontate. Temo che ci troveremo davanti una generazione che non ha contezza e strumenti per poter affrontare la realtà che è ben diversa da quella che vivono imprigionati sui social”. Ne è convinto Giacomo Di Gennaro, professore di sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale presso l’Università Federico II di Napoli

Professore, i nostri ragazzi inghiottiti da una spirale di violenza, ma anche di solitudine e fragilità. La tecnologia che ruolo ha in questo momento?
Un primo aspetto che io sottolineerei è ovviamente l’uso del digitale e come attraverso il web e i social passi una quantità di informazioni, di messaggi, alcuni anche attrattivi a forte contenuto violento. È il carattere ambivalente della tecnologia. Ritengo sicuramente che l’uso dell’informatica, del pc e dei social sia un fatto positivo, si accede alle informazioni in maniera immediata, però è anche vero che c’è un imprigionamento che conferisce un nuovo volto anche alla modalità con cui si organizza e si prepara la violenza. Questo imprigionamento riguarda esattamente l’uso del cellulare e dei social-media che funzionano come dispositivi che filtrano e selezionano in maniera anche più grave alcuni messaggi e alcuni eventi. Come dicevamo per i decenni precedenti, cioè che si formavano le tribù, oggi è uguale: parliamo di tribù digitali. E questo conferisce alla violenza un volto nuovo, un carattere e una modalità di realizzarla e rappresentarla del tutto nuova. Ci sono situazioni violente che vengono organizzate ex-ante e poi si consumano di persona, organizzando anche l’incontro. Nello stesso momento, i social diventano dei dispositivi per incanalare delle condizioni di assoggettamento e vittimizzazione.

La tragedia del ragazzino di Gragnano lo ha dimostrato…
Sì. Non riusciva più a sostenere quel peso. Stigmatizzazione così forte da non reggere. Veniva da una famiglia perbene, andava bene a scuola, aveva proprio il profilo di un ragazzo che può essere facilmente vittimizzato. Le tribù digitali trovano dei terreni ideali in ragazzi che sono bravi e tranquilli. Abbiamo una popolazione che agisce in maniera cinica, violenta: c’è un agito violento di ragazzi e ragazze e sottolineo ragazze che stanno entrando su terreni dove la mascolinità e il machismo tipico del genere maschile viene assunto nelle maniere più deteriori. Ormai nello stile di condotta e nell’agito violento di molte ragazzine si riproduce l’atteggiamento tipico del maschilismo più retrivo.

C’è un problema di mancato controllo da parte dei genitori sui figli e sui social che utilizzano o c’è altro?
No, più che mancato controllo ritengo che le barriere regolative dei comportamenti dei figli, le famiglie le hanno abbassate se non totalmente annullate. Ho l’impressione che uno degli effetti di lunga durata di quella che è stata la rivoluzione del ’68 è che sono venute fuori generazioni che non sono più capaci di esercitare l’autorità e la responsabilità genitoriale. Parlo di autorità, non di autoritarismo. Questo vuol dire che un adulto per il modo in cui agisce e per il modo in cui si relaziona al proprio figlio, diventa un punto di riferimento ed è considerato una persona che ha qualcosa di più da dire rispetto a me figlio, a me giovane. E questo non c’è più: noi ci troviamo difronte a genitori che vogliono fare i giovincelli. C’è una cultura del giovanilismo che ha talmente imbrigliato i genitori che non sono più capaci di fare i genitori, cioè di essere autorevoli nei confronti dei figli. E quindi non li seguono. Ci sono ragazzi di tredici, quattordici anni che alle 3 del mattino sono ancora in giro per la città, ma che insegnamento possono ricevere dagli adulti se gli è concesso questo? La briglia regolativa degli standard educativi e di che cosa fare e cosa non fare si è talmente allentata che i ragazzi oggi fanno quello che vogliono. C’è un problema serio che investe le famiglie e che riguarda come le famiglie si relazionano ai figli e come li rendono responsabili. Basti vedere quanto è aumentato il consumo di alcolici tra i minori: in maniera esponenziale. Io voglio mettere in connessione le due cose: cioè comportamenti dei ragazzi e responsabilità dei genitori.

Come si costituiscono queste tribù digitali?
Si costituiscono perché si sono abbassate le barriere di regolazione della vita quotidiana di questi ragazzi tanto è vero che i genitori non hanno più il controllo di quante ore il ragazzo passa sui social. Non hanno il coraggio e la forza di sottrarre questi strumenti ai loro figli. Un’esposizione elevata deve essere regolata altrimenti genera dipendenza. Ci sono studi di tutto il mondo che parlano di dipendenza digitale e dimostrano che l’elevata esposizione digitale ha degli effetti spaventosi sui neuroni e sulla capacità percettiva dei ragazzi, perché ne abbassa la qualità.

Come si inverte questa deriva sociale e culturale?
Moltiplicando i luoghi nei quali i genitori possano acquisire l’abc del controllo dei dispositivi tecnologici dei propri figli. Ma io non sono d’accordo sul fatto di scaricare sulla scuola ogni limite che appartiene alla vita sociale. Perché se noi ci aspettiamo che la scuola faccia educazione alla legalità, educazione sessuale, educazione allo sport, educazione ed educazione, mi viene da chiedere: ma la scuola ha preso il posto della famiglia? Perché se ragioniamo così, la conoscenza, la trasmissione del sapere, le competenze chi le insegna se la scuola non ha più tempo? Dobbiamo prendere atto che la maggior parte delle famiglie non svolge più il suo ruolo. La scuola deve educare alla comunicazione, devono imparare a raccontare ai genitori ciò che gli succede fuori casa. La scuola deve innervare il vantaggio della comunicazione, dal canto loro i genitori non devono assumere una funzione di giudici ma di ascoltatori che poi aiutano a risolvere la questione.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.