Al 15 dicembre 2022 in Italia in carica al servizio sociale minorile erano presenti 14.221 giovani, tra i quali, 6400 sono campani, in particolare della provincia di Napoli. Di questi 14.221 minori presi in carico dai servizi sociali, 400 sono detenuti presso i 17 Istituti Penali Minorili, di cui 201 minori stranieri (50%). Nello specifico: Nisida ospita il maggior numero di detenuti, 57, cui segue Bologna con 45 ed Airola con 37 detenuti. E’ vero che aumentato il numero di criminalità di questi “adolescenti a metà” ma il dato che spaventa è la mancanza di consapevolezza del reato commesso; nel periodo storico a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento i minori e i giovani devianti venivano considerati come “soggetti bisognosi di aiuto e di una guida” e non solo di punizione, negli ultimi due decenni il clima è nettamente mutato: i minorenni a rischio sono considerati come una minaccia per la convivenza civile, di conseguenza è nata la necessità di rivedere alcune delle norme emanate negli anni precedenti. In particolare, il limite di punibilità a quattordici anni del nostro ordinamento giudiziario e il ricorso al carcere solo in casi di mancanza di alternative.
Come detto prima dei 14.221 minorenni denunciati, fermati e portati presso le comunità SOLO 400 sono presenti presso gli IPM, si tratta di minori che hanno commesso reati gravi, la domanda nasce spontanea e gli altri?? In Campania 908 ragazzi sono presenti nelle comunità convenzionate, strutture diverse dal carcere e che hanno costi di gestioni nettamente inferiori rispetto al carcere; ma la comunità da sola non ce la può fare; ci vorrebbero delle strutture meno “libere” delle comunità in cui il minore si sente più controllato ; queste strutture potrebbero ospitare i detenuti che hanno commesso reati non gravissimi per i quali il carcere è l’unica soluzione. Se la popolazione parla in termini: “afflizione per minorenni, carcere per i minorenni, basta alle comunità”, ci si chiede: è tutto un reprimere? L’accudimento di chi è? Il carcere dovrebbe essere un luogo impegnato a privilegiare l’aspetto trattamentale piuttosto che luogo di contenimento penale.
Il paradosso è che per i minori presenti nelle carceri, che studiano, seguono corsi forse si può parlare di recupero, di reinserimento sociale ma gli altri? Molteplici sono le cause che concorrono alla dirompente crescita del fenomeno della devianza minorile: gravi problemi familiari, degrado abitativo-ambientale, ma soprattutto l’elevatissima evasione scolastica: tema da sempre presente nell’agenda politica ma mai radicalmente risolto. Bisognerebbe lanciare una campagna a tappeto per sensibilizzare non solo le famiglie, spesso sorde al problema, ma l’intero ambiente, che dovrebbe operare a supporto delle autorità scolastiche per stigmatizzare a fondo il malcostume, segnalare gli evasori e i relativi nuclei familiari e additarli come veri e propri pericoli per l’integrità del tessuto sociale. Da tempo anche in Italia assistiamo a fatti di cronaca sempre più violenti e immotivati perpetrati da ragazzi la cui età va progressivamente diminuendo fino a coinvolgere bambini in età scolare; fenomeno che prende il nome di baby gang. Giovanissimi, aggressivi e violenti, che “giocano” a fare i grandi a spese degli altri. Aggredendo e ferendo gravemente i loro coetanei senza un motivo, per il mero gusto di farlo.
Dei 400 detenuti presenti nelle 17 carceri italiane, 201 sono STRANIERI: la comunità straniera che presenta in assoluto più minori coinvolti è quella rumena, segue quella marocchina e poi quella albanese: lo stesso andamento della criminalità adulta straniera. Il paradosso è, che con un così elevato numero di stranieri nelle carceri italiane manca la figura del mediatore culturale; pensando a loro difficoltà linguistiche e logistiche hanno difficoltà ad essere aiutati. (COMUNICO DUNQUE SONO)
Dei 3.792 REATI complessivamente contestati quest’anno ai detenuti minorenni in Campania, la stragrande maggioranza (il 57,8, %) riguarda reati contro il patrimonio (in particolare, rapine (530), furto (394), ricettazione (196), estorsioni (117); a seguire i reati contro la persona di cui (il 39,9%, per lo più lesioni volontarie) 233 produzione, spaccio e traffico di sostanze stupefacenti. Il dato però più sconcertante riguarda i 27 ragazzi adolescenti accusati di omicidio volontario e ben 80 di tentato omicidio, di questi 27, 8 detenuti hanno tra i 14 e 18 anni…. Credo non ci sia molto da aggiungere a questi numeri.
Ho parlato in questi anni con decine e decine di adolescenti negli istituti penali per minorenni, nelle comunità, nei servizi sociali o messe alla prova che scontano vite mozzate da violenze, precarietà economiche e affettive, che li precedono per (in)cultura e li superano per età. Sono troppo adolescenti per non pensare a un futuro diverso. Io credo che istruzione, orientamento professionale e cultura sono la cura. Sulla giustizia minorile c’è una rivoluzione incompiuta, un fallimento dovuto anche al fatto che il modello degli Istituti penali per minorenni, come quello delle comunità, non può reggere una presenza contemporanea di minorenni, giovani adulti, stranieri, adolescenti con doppia diagnosi: c’è una miscela esplosiva di più problemi.
Dopo oltre trent’anni dall’entrata in vigore della riforma dell’88, fiore all’occhiello della giustizia minorile del nostro paese, dal valore garantista e tutelante per i minori, bisogna fare un bilancio e apportare necessarie integrazioni, correttivi, “manutenzione” di professionalità adatte non a custodire, ma ad accudire e prevenire dentro e fuori la devianza. La politica deve mettere in campo una vera concertazione e dare sul serio un segnale di cambiamento che tutti attendono e non è più rinviabile anche alla luce di fatti di cronaca avvenuti nel carcere minorile di Airola, di Nisida o di alcune comunità. I trasferimenti dei soggetti più difficili in altri luoghi di pena costituiscono una risposta superficiale di ordine e sicurezza e rappresentano la cronaca quotidiana di un fallimento collettivo. Gli istituti penali per i minorenni vivono una precarietà e lo Stato deve garantire un futuro per questi ragazzi, da cittadini che si devono nutrire non di pane e illegalità, ma di diritti e responsabilità, doveri e felicità.
Samuele Ciambriello, Garante campano delle persone private della libertà personale