La tragedia poteva essere evitata
Giù le mani dal Mose: o i giudici sbloccano i lavori o Venezia sparisce
I veneziani vivono con gli stivali. Quando arriva l’acqua alta, spesso in coincidenza con l’arrivo dell’autunno, li mettiamo nei sacchetti pronti a tirarli fuori e a indossarli per superare i guadi. Ricordo ancora che da studente li mettevo su per raggiungere l’università, per poi tornare a indossare le scarpe una volta arrivato a lezione. L’acqua alta è la cosa più normale del mondo per i veneziani. Ci conviviamo. Capita dieci o venti volte all’anno che la città sia invasa dall’acqua. Ma noi niente, indossiamo gli stivali. Viviamo le nostre vite come tutti, tra passerelle di legno, passi interrotti e acqua dappertutto. Le maree fanno parte della vita di Venezia. E anzi ne sono un ingrediente fondamentale. Attraverso le maree la laguna si rigenera. Solitamente ne arrivano due combinate tra loro: una ascendente e un’altra discendente: è come un grande ricambio d’acqua, che ripulisce la Laguna. La rigenera. Altra cosa però è l’Aqua granda. Così chiamiamo in veneziano le mareggiate eccezionali come quella che ha travolto la città.
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La scorsa notte l’ho trascorsa in bianco, intento a studiare i grafici del Centro maree. Alle 23.35 l’acqua era arrivata a 1,87 metri. È stato come rivivere un incubo che mi ha riportato alla mente l’Aqua granda del ’66. Lo ricordo ancora bene, quel 4 novembre. Avevo 16 anni quando il nostro negozio di souvenir fu distrutto. Io e la mia famiglia perdemmo tutto. Ricordo ancora i viaggi con i miei genitori per raggiungerlo, per tentare di salvare il salvabile. Non avevamo più niente. Una volta abbassata la saracinesca, non ci restò nient’altro che metterci a piangere. Le maree a Venezia sono la cosa più naturale del mondo. Anzi sono le benvenute perché fanno rifiatare la Laguna. Ma quando arriva l’Aqua granda è un’altra storia. Bisognerà attendere il verdetto degli esperti per affermarlo con certezza. Ma proprio oggi, come accadde nel ’66, la marea ascendente non è stata seguita da quella discendente. Due maree si sono sovrapposte l’una all’altra, complice il vento di scirocco e la congiuntura astrale sfavorevole delle fasi lunari. È per prevenire mareggiate eccezionali come quella di oggi, e quella del ’66 che anni fa è stato progettato il Mose, la più grande opera idraulica della storia. È un sistema di paratoie mobili che si sollevano dal fondo della Laguna per proteggerla dall’innalzamento delle acque. Ci sono voluti molti anni per progettarla e realizzarla. Avrebbe dovuto essere completata nel 2022, e oggi è realizzata al 95 per cento. Soltanto che l’opera è stata fermata in ragione degli scandali succedutisi dal 2014 in poi per via di alcune malversazioni legate al processo di costruzione dell’opera. L’intervento della magistratura e la gestione commissariale del consorzio preposto alla costruzione hanno bloccato tutto. Da allora il Mose è fermo, insomma. Eppure se ci fosse stato ieri sera la marea non sarebbe arrivata a 187 centimetri. Quattro o cinque ore prima che l’acqua alta travolgesse tutto, i cassoni del Mose si sarebbero sollevati a proteggere la città dalla mareggiata. L’acqua, secondo le prime stime dei tecnici, si sarebbe fermata a 130 o 140 centimetri. Fino a 140-150 centimetri l’acqua alta non provoca forti disagi. Andando oltre ogni centimetro in più diventa distruttivo.
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Ecco perché ieri ho chiesto in Aula a Montecitorio che le istituzioni e la politica tornino ad occuparsi di Venezia. Devono occuparsene subito, perché così moriamo. Va espressa subito solidarietà a tutti i veneziani, ai negozianti, ai commercianti, alle famiglie e alle vittime che ci sono state nell’isola di Pellestrina. Solidarietà per questa città, la mia città, ancora una volta così duramente colpita. Le maree sono la cosa più naturale del mondo, sono la vita della laguna di Venezia. Ma il problema non sono le maree, ma come l’uomo decide di governarle e gestirle. Ed è per questo che la solidarietà non basta, in questo momento drammatico. Il progetto del Mose, la più grande opera idraulica della storia dell’umanità, va portata a termine, va finanziata la sua manutenzione e va immediatamente riaccesa la luce sul commissariamento del consorzio Venezia Nuova. Non si può pensare che le notizie di reato blocchino la realizzazione di opere fondamentali come queste. Servono risorse, serve che il Governo riconosca immediatamente lo stato di calamità naturale. Occorre una Commissione di indagine conoscitiva per capire perché tutto si sia bloccato e per riavviare il processo di salvaguardia della laguna. Occorre una nuova Legge Speciale per Venezia e che riguardi l’intera città metropolitana. Chiedo perciò all’Aula, alle istituzioni e noi stessi una rinnovata attenzione per questa città. Ribadisco la necessità di una Commissione di indagine e, sin da subito, il riconoscimento da parte del Governo dello stato di calamità naturale con lo stanziamento delle risorse necessarie. Un pensiero a Venezia, un pensiero ai miei veneziani.
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