Il dibattito
Giù le mani dalle Regioni ma no al federalismo spinto
Si continua a ripetere come un mantra che l’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione del Coronavirus ci starebbe dando una dura lezione, anzi più d’una, su diversi fronti. Non è chiaro, tuttavia, quali siano esattamente queste lezioni. Ognuno ne ricava una propria, anche perché la realtà non fornisce di per sé messaggi univoci, ma, pure in una tragedia come questa, appare complessa, leggibile in vari modi.
Sul versante dei rapporti tra Stato e autonomie, due fenomeni sembrerebbero fornire segnali contrastanti. Da una parte, una mole straordinaria e in continua crescita di fonti e provvedimenti prodotti dai diversi livelli territoriali di governo (decreti-legge, d.p.c.m., ordinanze contingibili e urgenti di Regioni e Comuni ecc.) e l’evidente confusione di competenze che traspare da questa produzione normativa bulimica, a fronte della quale più di un commentatore ha auspicato un drastico ridimensionamento delle competenze proprie degli enti regionali e locali.
Dall’altra parte, un Governo centrale che, almeno in questa prima fase dell’emergenza, non parrebbe tanto aver guidato, quanto risposto alle richieste e, in qualche caso, perfino seguito le iniziative adottate dai Presidenti delle Regioni. Il che induce a riflettere sul peso che gli stessi enti regionali conservano anche in una situazione di grave emergenza come quella presente. Gli inviti a una nuova centralizzazione delle competenze, dopo che negli ultimi anni non si è parlato d’altro che di “regionalismo differenziato”, non devono sorprendere.
È almeno dal 2001 che in Italia il dibattito pubblico sulle autonomie ha l’andamento delle montagne russe. Se, infatti, fino al 2008 non ci si poteva non dire “federalisti”, dopo lo scoppio della crisi economica e di una serie di scandali giudiziari che hanno coinvolto diversi esponenti delle istituzioni regionali, queste ultime sono state rappresentate da molti come roccaforti della casta politica ed esosi centri di spesa da depotenziare o eliminare del tutto.
L’esito negativo del referendum costituzionale del 2016 sulla riforma Renzi-Boschi ha incoraggiato le istanze autonomistiche delle Regioni più sviluppate del Nord. Così, dopo i referendum consultivi svoltisi in Veneto e in Lombardia nell’ottobre del 2017, si è avviato un processo di attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che consente di attribuire alle Regioni ordinarie “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.
Adesso l’emergenza da Coronavirus potrebbe dare avvio a un nuovo processo di centralizzazione. Un’ulteriore – l’ennesima! – inversione di rotta.
In parte, dinamiche del genere sono fisiologiche. La ripartizione delle competenze tra centro e periferia prevede meccanismi di flessibilità ed è improntata al principio di sussidiarietà che, per definizione, implica una dislocazione mobile delle funzioni. Non può stupire che in momenti di emergenza, nei quali è necessaria l’adozione di misure uniformi per tutto il Paese, il centro acquisti un ruolo preponderante rispetto agli enti periferici. Questi ultimi, tuttavia, possono svolgere un ruolo importante nell’attuazione delle misure statali. È necessario, in ogni caso, che tutti gli attori istituzionali ispirino i propri interventi a una logica di effettiva collaborazione e solidarietà.
Se non vere e proprie lezioni, possiamo trarre dalla drammatica situazione che stiamo vivendo un’indicazione di massima su cui riflettere: l’esigenza di ricondurre alla dimensione dei bisogni reali il ruolo di ogni singolo ente territoriale. Se, da un lato, i Comuni devono mantenere il compito di soddisfare esigenze di carattere squisitamente locale, dall’altro lato occorre riscoprire e valorizzare il ruolo di enti di programmazione che le Regioni possono ancora utilmente svolgere. Il che, tuttavia, non significa che le Regioni stesse abbiano le risorse e le capacità per sostituirsi integralmente allo Stato.
Il miraggio della totale fungibilità degli enti ha ispirato le istanze di una differenziazione regionale selvaggia, che oggi, nel contesto emergenziale, sembrano trovare espressione nelle iniziative autonome di qualche Presidente di Regione. Sono rivendicazioni che forse domani, passata la tempesta, torneranno a manifestarsi, più violente che mai, nella giostra vorticosa del dibattito pubblico, ma che andranno ponderate con la consapevolezza che si spera possa derivare dall’esperienza di questi giorni.
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