Il caso
Giudici pasticcioni e lenti, negata visita medica per una detenuta
Tempi lenti e burocrazia eccessiva continuano a essere zavorre del sistema giustizia. A Napoli ne sono un esempio i disagi lamentati dai penalisti per il mancato rispetto delle fasce orarie delle udienze in calendario che avrebbe dovuto evitare attese inutili e code agli ingressi dei tribunali pericolose per il rischio contagio. E ne sono un ulteriore esempio le difficoltà di ottenere dalla giustizia risposte in tempi ragionevoli e utili. Perché dove non fanno gli effetti indiretti delle restrizioni adottate per contenere la pandemia, fa la burocrazia, quella farraginosa, lenta, ripetitiva.
Maria ne è vittima da alcuni mesi. Maria è una donna napoletana sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari da luglio scorso. Incensurata, fu trovata con alcune dosi di hashish e delle banconote false. Fu arrestata e processata per direttissima. È stata condannata in primo grado a un anno e quattro mesi di reclusione, senza sospensione condizionale della pena ma con gli arresti domiciliari. La misura restrittiva è stata predisposta per il solo reato di detenzione e spendita di monete false, perché l’hashish era in quantità tale da essere considerato dose personale e non giustificare un arresto. In questa situazione, circa due mesi fa Maria avverte dolori ai denti e ha la necessità di sottoporsi a una visita specialistica. Tramite l’avvocato Gennaro De Falco, presenta istanza ai giudici della Corte di appello dinanzi ai quali pende il processo di secondo grado. Nell’istanza chiede l’autorizzazione per una visita dal dentista, ma per i giudici l’istanza è incompleta, occorre specificare più nel dettaglio la patologia per la quale si richiede l’appuntamento con lo specialista.
L’istanza, allora, viene ripetuta con una nuova richiesta e una nuova prescrizione medica allegata, nella quale si prova a essere più specifici nella descrizione dei sintomi e della possibile patologia, pur considerando che una precisa diagnosi si potrà avere solo dopo la visita specialistica. Sta di fatto che la prescrizione medica viene fatta, che l’istanza viene rinnovata e corredata di tutti gli elementi e i dettagli del caso. È il 22 settembre scorso. La visita dal dentista è fissata per il 12 ottobre successivo. Ci sono venti giorni di tempo, dovrebbe essere un termine congruo per sperare in una risposta dei giudici. Dovrebbe, ma nella realtà non è. Perché la riposta arriva il 13 ottobre, con deposito il giorno successivo. E l’istanza, sostengono i giudici, non può essere accolta in quanto tardiva rispetto al giorno fissato per l’appuntamento con il dentista.
Maria, dunque, è costretta a ripetere tutto da zero, a richiedere al medico una nuova prescrizione, a richiedere all’avvocato una nuova istanza che dovrà essere inoltrata attraverso nuove mail e genererà nuove attese. Intanto il tempo passa e al dolore ai denti per Maria non c’è altro rimedio che la sopportazione. La storia di questa donna apre una serie di interrogativi e rinnova la riflessione sui tempi della giustizia. Se per una richiesta semplice come quella di poter andare dal dentista sono sorti così tanti intoppi e così lunghe attese, viene da domandarsi cosa potrebbe accadere per questioni più complesse e quali conseguenze potrebbero dover patire i detenuti in caso di quadri sanitari più precari o richieste di accertamenti per il sospetto di patologie più rischiose.
«Non è possibile ripetere la stessa istanza tre o quattro volte – commenta l’avvocato De Falco – Qui si va nel ridicolo. E in questo caso si tratta di andare dal dentista, pensiamo se si fosse trattato di problemi più seri», osserva. Del resto, che il diritto alla salute sia uno dei più difficili da garantire per chi è in carcere o sottoposto a misure restrittive è un dato rilevato già prima dell’emergenza Covid, le restrizioni dovute alla pandemia lo hanno solo acuito. Ma nella storia di Maria c’è anche altro. Oltre alle lungaggini, c’è la distrazione, quella che fa scrivere ai giudici che la misura cautelare cui è sottoposta è legata anche al reato di droga mentre, nella realtà è solo conseguenza dell’accusa di detenzione di banconote false. Un’inezia, si direbbe, se fosse l’unica tessera del mosaico a non essere perfettamente al suo posto. Ma in questa storia pesano lungaggini e burocrazia e Maria dovrà ancora attendere.
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