il Ponte
Si è sempre dichiarato innocente
Giulio Arena, il suicidio in carcere dopo l’ergastolo: la pena di morte esiste anche in Italia
Dal 2015 dietro le sbarre si è lasciato morire con uno sciopero della fame. Giulio si è sempre dichiarato innocente ma dietro il suo caso c’è anche il fallimento dei servizi sociali
La morte per inedia di Giulio Arena, detenuto nel carcere di Augusta è un caso paradigmatico della gestione incostituzionale della Giustizia italiana. È morto di carcere, più strumento di annullamento della dignità delle persone che di rieducazione.
I fatti: Giulio Arena, condannato all’ergastolo con sei mesi di isolamento, ed anche questo è paradigma, dopo un processo fondato più su diatribe tra periti, che prove inoppugnabili, si è lasciato morire non assumendo cibo ed acqua. Gli avevano rifiutato i domiciliari, e lui ha deciso di spegnere la luce, quell’esistenza non la sentiva più degna di essere vissuta. Questo è possibile nelle carceri italiane? L’eutanasia, proibita in Italia per legge, trova invece possibilità legale in carcere.
Il caso di Giulio Arena
Giulio Arena non era un classico esponente della popolazione carceraria, non era un drogato o un immigrato, non era un appartenente alla criminalità organizzata, loro prendono spesso pene inferiori, non era nemmeno un pedofilo, uno stupratore di ragazzine, anche loro se la cavano con meno, non era un autore di femminicidio, quelli conquistano pagine di giornali ed hanno pure, incredibile, delle fans che gli scrivono. Giulio, a parte qualche associazione che si occupa delle garanzie dei detenuti, come ci dice Pino Apprendi, ex onorevole regionale garante dei detenuti di Palermo, impegnato su questo fondamentale tema per la dignità di un paese civile, era solo, era diverso dagli altri detenuti, per cui era solo, cosa che non succede ai detenuti di delitti gravi per mafia. Quelle famiglie hanno altri codici, non ti abbandonano mai. Anzi se sei detenuto per associazione mafiosa diventi un vanto ed una risorsa, si organizzano addirittura delle “collette” benefiche per le famiglie dei carcerati, si chiamano “pizzo”, ma i merletti non c’entrano.
La musica e la casa editrice. Ma non stava bene
Giulio Arena era un musicologo, insegnava al Conservatorio di Palermo, aveva pure fondato una casa editrice di libri sulla musica, su cui aveva investito tutto se stesso ed i suoi averi. Ma non stava bene, per niente, aveva già sparato qualche anno prima a due ambulanti, fortunatamente illesi, per una questione di melloni, come noi in Sicilia chiamiamo le angurie. Una persona così in altre parti d’Italia verrebbe pesantemente presa in carico dai servizi sociali dell’Asp territoriale, verrebbe monitorata da assistenti sociali, psichiatri, altri operatori. Ma non in Sicilia, qui no, le questioni sociali rimangono in carico a Comuni in dissesto finanziario, che da anni hanno tagliato i servizi sociali, e l’Asp fa solo TSO se richiesti da autorità competenti o familiari. Ma nessuno evidentemente seguiva Giulio. Per cui quando viene ucciso un contadino dalle sue parti gli inquirenti pensano automaticamente a Giulio, che aveva un precedente di violenza per futili motivi, i melloni.
Qual è il movente
Quale è il fondamentale movente per le 30 coltellate date al contadino di Paternò? Una disputa sul poco olio ricavato da un terreno di famiglia. C’è dell’assurdo in tutto questo, qualcosa di ancestrale come l’olio, del tragico, del grottesco, i tipici canoni di quest’isola descritta mirabilmente su questi codici da Verga e Pirandello, un’isola in cui si può morire per un’anguria o per un cafiso di olio. Un assassino che, dando per assodata la sua colpevolezza, cosa su cui diverse persone addentro alla vicenda non danno per scontata, uccide per qualche chilo di olio, che nel 2015 non costava come oggi, è chiaramente fuori di testa. Ed una persona fuori di testa può stare in carcere? Può il carcere, i suoi metodi, le sue funzioni, la sua popolazione, rieducarla? Al di là di cosa serva la rieducazione, ad un uomo sul cui foglio di ingresso in una struttura penitenziaria c’è scritto fine pena mai.
Si è sempre dichiarato innocente
Giulio si è sempre, ostinatamente, con forza, dichiarato innocente. Ha affrontato la carcerazione rifiutandola, ed ha deciso di porre fine alla sua vita lasciandosi morire. Forse pure per vendetta verso una società che non solo non lo aveva capito e creduto, ma che lo aveva escluso dal consesso civile, ritenendolo un diverso, un pazzo fuori di melone si potrebbe dire, se ciò non risultasse anch’esso grottesco.
Sul frontone dell’ex manicomio di Agrigento, chiuso per la ormai comprensibilmente inefficace legge Basaglia, c’è scritto qua non tutti lo sono ma non tutti ci sono, cioè non tutti quelli che sono qui sono pazzi e non tutti i pazzi sono qui. Magari sono in carcere, dove non dovrebbero stare, dove possono morire per carenza di civiltà. Dove Giulio è morto, con il consenso dello Stato, nel carcere di Augusta, terra di Sicilia.
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