Il libro dell'ex assessore al welfare della Lombardia
Giulio Gallera racconta la sua guerra contro il covid e la gogna
Il suo turno di guardia è durato un anno esatto, ed è stato l’anno in cui la bomba atomica è scoppiata in Lombardia, e lui e gli altri, amministratori ma soprattutto medici e personale sanitario, hanno dovuto affrontarla a mani nude. Giulio Gallera è colui che ha tenuto sulle spalle il fardello dell’epidemia da coronavirus a partire dal primo caso a Codogno, prima e seconda ondata fino alla prima boccata d’ossigeno con l’arrivo dei vaccini. Un anno da batticuore costante, che racconta oggi, con la sobrietà del liberale che non scende nel campo delle sguaiataggini, in un libro dal titolo forte: Diario di una guerra non convenzionale (Guerini associati, 18 euro), in cui il termine “guerra” evoca non solo quella contro il virus, ma anche tutto il contorno di gogna mediatica.
Nei giorni in cui l’epidemia da sanitaria era diventata giudiziaria. Basterebbe ricordare la volgarità con cui Travaglio apostrofava l’assessore al welfare storpiandone il cognome, perché bastava togliere una elle per evocare le manette. Nel solito tripudio dei tagliagole del Fatto quotidiano. C’è molto del modo di fare politica e del ben amministrare di un assessore e antico militante di Forza Italia in questo libro. Ma, dietro all’avvocato Gallera, ecco ogni tanto spuntare Giulio, la persona, non soltanto perché ha una bella famiglia che ringrazia nella dedica del libro, senza dimenticare tutti i collaboratori e il personale di ogni ospedale, pubblico e privato. Ma anche perché, nel suo ruolo di padre, è costretto a svegliare il figlio liceale di notte per dirgli che proprio lui sarà quello che lo costringerà a disfare la valigia e riporre gli sci già pronti per la settimana bianca della scuola. E sarà ancora lui, con i suoi provvedimenti, a uccidere in culla la festa del diciottesimo compleanno della figlia. Piccole grandi cose che hanno riguardato tante famiglie. Ma in una sola non si è potuto mandare al diavolo colui che obbligava alle restrizioni, quelle spesso poco comprensibili per ragazzi e ragazze.
Tutto comincia la sera del 20-2-2020, quasi uno sciagurato presagio del calendario, con tutti quei due. L’assessore è a una cena ad Abbiategrasso e nel giro di minuti o di quel che ci vuole ad arrivare a Milano, si ritrova catapultato nella task force della Regione Lombardia il cui comando non abbandonerà più –non ci saranno più famiglia né pranzi né riposo- per un anno. Quando sarà costretto a lasciare il posto di comando proprio perché stremato e fatto a pezzi, proprio per aver concesso a tanti con il camice bianco ancor più stremati di lui, un paio di giorni di riposo. Le jene invece non riposano mai, dai loro divani. Sono jene della politica – troppo ghiotto sarebbe per la sinistra il boccone della Regione Lombardia – ma ancora più voraci sono le penne, che finiscono poi per aiutare la Procura della repubblica, quella disastrata di Milano, ad aprire fascicoli a raffica. Poco importa il fatto che, uno dopo l’altro, questi fascicoli finiranno con il chiudersi con archiviazioni richieste dagli stessi pubblici ministeri. I danni mediatici, si sa, sono come il famoso dentifricio che è impossibile far rientrare nel tubetto.
L’ex assessore Gallera, oggi Presidente della commissione bilancio della Regione Lombardia, ha scritto questo libro per rimettere i puntini sulle i. Per informare, soprattutto. Non basta il fatto che, con l’ultima assoluzione di Attilio Fontana sulla paradossale vicenda dei camici, tanti “scandali” siano evaporati sul piano giudiziario. Lui, da bravo avvocato puntiglioso, e anche con la sua reputazione di liberale inattaccabile, non dimentica neanche i numeri. La Lombardia è stata attaccata dal virus in modo violento, in una percentuale altissima rispetto alle altre regioni italiane. Nella prima ondata, quella iniziata il 20 febbraio del 2020, in Italia sono state contagiate 1.500.000 persone: il 50% era appunto in Lombardia. Che è la regione più popolosa, con circa dieci milioni di abitanti, ma anche quella più produttiva e attiva, anche negli spostamenti internazionali. Se dunque esaminiamo il famoso dato dell’ “eccesso di mortalità”, cioè il rapporto tra i decessi del 2020 e quelli del quinquennio precedente, il dato è del 111,8% in Lombardia, contro il 31,7% sul piano nazionale.
La gran parte dei morti sono lì, perché lì c’è la gran parte dei contagi. Ma se poi andiamo a vedere gli studi resi noti dall’Istituto superiore della sanità, che ha esaminato, al termine della prima ondata, il tasso di letalità di ogni regione in rapporto ai livelli di contagiosità, ecco che il risultato si capovolge. E la Lombardia sarà, insieme al Veneto, quella che ha saputo curare meglio i suoi malati. Così, il rapporto tra contagiati e deceduti sarà del 2,26% in tutta Italia, e del 3,42% in Emilia Romagna, del 3,21% in Liguria e del 3,37% in Toscana, ma del 2,28% in Lombardia e del 2,23% nel Veneto. Pure, lo scrive quasi con rabbia nella prefazione il direttore di Libero, Alessandro Sallusti, “in quel primo anno di pandemia contro la Lombardia e i suoi comandanti è stata montata una delle più grandi, violente e vigliacche campagne di denigrazione di cui la stampa e l’informazione italiana si siano mai rese responsabili”. “Scientemente”, aggiunge, e “sulla pelle di migliaia di morti e di decine di migliaia di malati e di milioni di cittadini impauriti”.
Sarebbero tante le cose da dire, da aggiungere, e tante le abbiamo già dette e scritte. E smentite, come la notizia che siano state mandate persone non ancora guarite a infettare quelle sane nelle Case di riposo. Non è così, e se ne sono resi conto anche i membri della commissione presieduta dall’ex pm Gherardo Colombo e la stessa magistratura. Ma lasciamo che, a chi ha continuato a parlare di “Disastro lombardia”, sia lo stesso Giulio Gallera a rispondere: “Il rapporto tra contagiati e deceduti evidenzia, anzi, come la Regione Lombardia sia stata in grado di salvare un numero di vite molto più alto rispetto alle altre, che pure hanno avuto un numero di contagiati più bassi. Altro che disastro”. I meriti vanno soprattutto a quei medici, a quegli infermieri che prima erano eroi e un momento dopo avevano già i corpi pieni di frecce come san Sebastiano. Erano i veleni della cattiveria e della maldicenza che non risparmiavano nessuno. Ma la regione ha retto, con i suoi duecento ospedali pubblici e privati, i diciannove Irccs e le 650 case di riposo, i 130.000 operatori sanitari qualificati e gli straordinari uomini e donne del terzo settore. E anche un assessore ingiustamente sacrificato, anche dagli alleati di governo. Le jene sono state costrette a riporre gli artigli. Ma nessuno ha chiesto scusa. Ben vengano allora i puntini sulle “i” di questo libro.
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