Il Var del Parlamento, il Gran Giurì, è in campo. L’intervento dell’organismo di verifica istituzionale è stato richiesto da Giuseppe Conte per smentire le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni sull’approvazione del Mes, attuata «col favore delle tenebre» l’ultima sera del governo Conte II. E sebbene non sembri essere tra le questioni che interessano l’opinione pubblica, l’inusualità del ricorso al parere «pro veritate» dell’organismo parlamentare accende i fari sulla strategia contiana che, duellando con Meloni, si prende tutti i crediti possibili presso quell’ampia fetta di elettorato disamorato dalle incertezze della sinistra.
La commissione speciale è stata istituita dal presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ed è presieduta da Giorgio Mulé (Forza Italia). Se l’altro ieri era stato audito proprio Conte, che ha consegnato “una corposa documentazione” al Giurì, ieri è stata invece la volta della Presidente del Consiglio. Meloni è rimasta a colloquio un’ora e non ha fatto trapelare alcun commento circa il contenuto dell’audizione. A parlare, pur telegraficamente, è stato il solo presidente del Gran Giurì.
“Finora i commissari non hanno chiesto una nuova audizione, adesso leggeremo il resoconto integrale, entrambi hanno detto le loro posizioni e i commissari non hanno sollevato esigenze di nuove audizioni”, ha dichiarato Mulé, interpellato dai cronisti a Montecitorio al termine dell’audizione del presidente del Consiglio, Meloni.
“Il prossimo passaggio – ha proseguito Mulè – è quello di studiare, approfondire, mettere a confronto le dichiarazioni del presidente Conte e del presidente Meloni, formarsi un’idea sugli atti parlamentari e su tutto ciò che è a disposizione della Commissione e successivamente redigere la relazione da presentare all’Aula entro il 9 febbraio“. Il presidente del Giurì ha chiarito che “la relazione non è soggetta né a discussione, né a votazione, viene letta in Aula e l’Aula ne prende atto. Il Giurì è chiamato a dirimere una questione e tecnicamente non c’è una sentenza”. In particolare “il Giurì è chiamato a dichiarare la fondatezza o meno di alcune espressioni che sono stato utilizzate dal presidente Meloni, che il presidente Conte ritiene essere false e non veritiere.
E quello è il compito del Giurì, giudicare la fondatezza di ciò che è stato detto in Aula, se è fondato o no, adesso vediamo se è fondato”. E facendo riferimento anche all’accusa rivolta da Meloni a Conte di aver approvato il Trattato con “il favore delle tenebre“, ha concluso: “E’ uno degli elementi che la presidente del consiglio ha usato in Aula in un discorso più ampio che riguardava il Mes, e tutto quello c’era intorno al processo di validazione del Mes”. Non esistendo alcuna sanzione, il carattere del pronunciamento rimane puramente teorico e non è da escludersi che la formulazione del parere possa tener conto della buona fede con la quale entrambi hanno reso le rispettive dichiarazioni.
Le conseguenze pratiche del parere? Nessuno, dal punto di vista formale. Ma Giuseppe Conte ha fatto dell’incidente probatorio una occasione solo fintamente procedurale: il risultato effettivo è quello di essersi posto – anche in termini pubblici e mediatici – alla testa dell’opposizione contro Meloni, intestandosi appunto uno scontro frontale con la premier. Una occasione in più per ribadire il posizionamento come portavoce dell’opposizione più intransigente contro l’azione del governo di centrodestra, a discapito del ruolo e della forza di Elly Schlein, che su questa istanza di Conte risulta la vera vittima. Negli scorsi giorni lo stesso Conte aveva ribadito di essere pronto a sfidare Giorgia Meloni in un duello televisivo, mentre la premier ha indicato nella segretaria dem Schlein la sfidante designata.