In questo quarto numero parliamo di un altro padre della Repubblica, un intellettuale prestato alla politica, presidente dell’Assemblea costituente e quinto presidente della Repubblica italiana: Giuseppe Saragat.
Torinese, si laurea in scienze economiche dopo aver combattuto durante il Primo conflitto mondiale. Diventa socialista e si schiera presto con i riformisti di Turati; dall’espulsione della corrente gradualista nasce il PSU (Partito Socialista Unitario). Saragat ne diventa uno dei principali esponenti, con Giacomo Matteotti segretario. Il suo antifascismo lo costringe all’esilio durante gli anni del regime. Nel 1929 raggiunge Turati e Pertini a Parigi.
Rientra nel PSI dopo aver incontrato Nenni, con il quale avrà sempre un rapporto controverso, fatto di stima reciproca e continua contrapposizione. Verranno infatti definiti gli amici rivali. In un bellissimo siparietto (documentato con tanto di video) Pertini si rivolge così a Saragat che ricordava di aver sempre litigato con Nenni: “Ma smettila, vi siete sempre voluti bene… per voi vale il detto Nec sine te, nec tecum vivere possum (Non posso vivere né con te né senza di te)”.
Saragat rientra finalmente in Italia nel 1943 e diventa direttore dell’Avanti. Entra a far parte della Resistenza e (come accennato nel primo numero di questa rubrica) viene arrestato dai tedeschi e rinchiuso a Regina Coeli insieme a Pertini, riuscendo ad evadere in modo rocambolesco un attimo prima di essere condannati a morte. La tragicomica evasione dei futuri presidenti della Repubblica Saragat e Pertini è raccontata da loro stessi (il video è facilmente reperibile su YouTube) che moltissimi anni dopo ritornano nel carcere romano per visitare la loro cella. Sottolineano il ruolo determinante di Nenni per la riuscita di quella delicata operazione che gli salvò la vita.
Come ricorda Pertini, la priorità di Nenni era salvare Saragat, ritenuto il vero cervello e il futuro del partito (nonché più fragile rispetto al guerriero Pertini che già aveva vissuto la dura esperienza del carcere e che veniva considerato impermeabile a qualsiasi sofferenza). Gli esponenti socialisti del tempo raccontano che intorno alla figura di Saragat vi era una sorta di mito, di aurea da predestinato, come se non si potesse fare a meno di lui per garantire un domani al Partito socialista.
Ambasciatore italiano a Parigi, Saragat è nella delegazione che accompagna De Gasperi alla Conferenza di pace del ‘45. Sa però che la partita più importante si gioca in Italia e decide quindi di tornare. Il 25 giugno del 1946 viene eletto presidente dell’Assemblea costituente, a dimostrazione del rispetto e della considerazione di cui godeva. Prosegue intanto il cammino complesso del socialismo italiano e la rivalità con Nenni continua a crescere, trovando il suo culmine al Congresso socialista del gennaio 1947. Saragat immagina un partito lontano dal PCI e da Mosca, posizione in antitesi all’epoca con quella di Nenni. Saragat voleva cercare di competere con lo strapotere della DC e per arrivare a questo obiettivo non si poteva far altro, a suo avviso, che svincolarsi il più possibile dai comunisti. La divisione è inevitabile. Saragat decide di abbandonare i lavori del Congresso in Città universitaria e di raggiungere insieme ai suoi Palazzo Barberini. La scissione è completa. Nasce così il PSLI (Partito socialista dei lavoratori italiani), che nel 1951 diventerà finalmente PSDI (Partito socialdemocratico italiano). La mossa di Saragat non ebbe però gli effetti sperati. Il PSDI non riuscirà mai ad attestarsi come una forza politica in grado di competere veramente con l’egemonia democristiana (fu comunque varie volte vicepresidente del Consiglio nei governi De Gasperi).
Nel 1956 l’incontro con Nenni a Pralognan darà il via alla ricomposizione della frattura socialista che dieci anni più tardi porterà alla riunificazione del partito. In mezzo l’elezione al Quirinale. Il 28 dicembre del 1964, dopo 21 scrutini, Giuseppe Saragat diventa il quinto presidente della Repubblica italiana. Storico il suo viaggio ad Auschwitz, primo presidente a visitare un campo di concentramento. Fu anche uno dei primi a utilizzare la TV e i nuovi mezzi di comunicazione. Fu spesso vittima della satira, soprattutto per la sua passione per il vino. Introdusse lo Champagne al Quirinale. Durante la sua presidenza affrontò le rivolte del ’68, difendendo le istituzioni democratiche con toni duri e per lui inediti. Lo colpì in modo particolare l’uccisione del giovane poliziotto Antonio Annarumma durante una manifestazione a Milano nel 1969. Quel 1969 che verrà ricordato come l’inizio dei cosiddetti anni di piombo con l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Piazza Fontana, ancora a Milano.
Compiendo un balzo in avanti di vent’anni, ricorderei infine l’appello che Enzo Biagi (il quale, pochi sanno, prese parte alla scissione di palazzo Barberini) gli rivolgerà direttamente chiedendogli di sciogliere quello stesso partito, ormai lacerato dagli scandali, che aveva fatto nascere. Saragat non fece in tempo ad accontentarlo. Morirà qualche mese dopo, a quasi novant’anni.
Per chiudere il racconto di un uomo la cui memoria risulta talvolta offuscata e non all’altezza del personaggio (qualcuno dice per gli scarsi successi elettorali), vorrei ricordare le parole che Giuseppe Saragat pronunciò il 26 giugno del 1946, durante il discorso di insediamento da presidente dell’Assemblea costituente:
“Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano. Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto fra maggioranza e minoranza, non è soltanto un armonico equilibrio di poteri sotto il presidio di quello sovrano della Nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani, la democrazia esiste; dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide”.
Giuseppe Saragat