Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sul caso Adania Shibli. Giusta la scelta di non premiarla con il LiBeraturpreis 2023? Ne scrivono per noi Ludovico Seppilli, sostenendo le ragioni del “sì“, e Francesca Sabella analizzando quelle del “no”.

Di seguito il commento di Francesca Sabella

Francoforte, la fiera del libro nega il premio LiBeraturpreis alla scrittrice palestinese Adania Shilbi. Il perché di tale grave, gravissimo passo indietro rispetto alla consegna del riconoscimento, che forse è solo rinviata (ma cambia poco), sta tutto nella provenienza della penna: palestinese. Nelle ore in cui Gaza è sotto assedio, Israele piange migliaia di vittime e altrettanto sta facendo chi vive dall’altra parte, in quella Striscia di terra, la cultura decide di spogliarsi dei suoi abiti che la rendono così preziosa in un mondo che cade a pezzi. Decide di spogliarsi della libertà, del coraggio, del diffondere sapere e si trasforma in spaventosa censura. La cultura, invece di essere fiore nel cemento del decadimento di valori e umanità, decide di essere lei stessa cemento e di alzare muri. La cultura risponde alle atrocità di Hamas, comportandosi alla stessa maniera: censurando, oscurando, mettendo a tacere, silenziando la voce di una scrittrice. Sia chiaro, niente a che fare con fucili, sequestri e altre orrende barbarie ma il ragionamento di fondo somiglia paurosamente all’ideologia di quella parte di terra che non smette di sanguinare e che fonda le sue basi proprio sulla negazione della libertà di opinione, di culto, di espressione.

Il libro censurato perché “vista la guerra in Israele, preferiamo dare spazio a voci ebraiche e israeliane in questo momento” si intitola “Un dettaglio minore”. Il dettaglio tutt’altro che minore è il seguente: Adania Shilbi nel suo libro, edito in Italia dalla casa editrice La nave di Teseo, racconta la storia (vera) di una ragazza palestinese stuprata e uccisa da un gruppo di soldati israeliani nel 1949. Al racconto vero la scrittrice intreccia la storia, questa inventata, che decide di indagare, oggi, sulla vicenda e alla fine del libro viene uccisa da altri soldati israeliani perché sconfina in una zona militare senza avere l’autorizzazione. Il nocciolo della questione sta tutto qui.

Mi chiedo, può essere tollerata la censura? Ha risposto l’Associazione Italiana Editori: “Non possiamo accettare censure alla libertà di espressione. I libri e la lettura sono sempre un valore e come tali non possono essere censurati in alcun modo. Questo è vero in qualsiasi circostanza”. La motivazione del premio recitava che “l’autrice palestinese Adania Shibli crea un’opera d’arte composta formalmente e linguisticamente in modo rigoroso che racconta il potere dei confini e ciò che i conflitti violenti causano alle e con le persone. Con grande attenzione, dirige lo sguardo verso i piccoli dettagli, le banalità che ci permettono di intravedere le vecchie ferite e cicatrici che si trovano dietro la superficie” e ancora il “premio viene assegnato a un’opera di narrativa eccezionale di una scrittrice proveniente dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina o dal mondo arabo. Il premio è stato creato in risposta al fatto che le traduzioni di opere contemporanee di autrici provenienti da questi paesi sono ancora fortemente sottorappresentate sul mercato del libro tedesco”.

Talmente era la voglia di diffondere un certo tipo di letteratura laddove veniva osteggiata che l’hanno censurata. L’hanno censurata in un momento delicatissimo nel quale la cultura avrebbe dovuto volare alto, sopra i colpi di mitra. Un momento nel quale c’è la tendenza pericolosissima a generalizzare: sei palestinese e quindi sei di Hamas. Secondo questa folle tendenza a generalizzare la scrittrice è colpevole e terrorista tanto quanto Hamas. I palestinesi sono le prime vittime di Hamas, non passi mai il messaggio che tutti i palestinesi sono terroristi che imbracciano il fucile e sparano sui bambini. E quindi mi chiedo: la scrittrice nata in Palestina è forse una terrorista di Hamas? Ha scritto un encomio alle barbarie? Un elogio della guerra? No. È nata in Palestina. Ed è bene, quanto banale, scriverlo. Perché la generalizzazione genera mostri. Se sono tutti barbari allora nessuno è barbaro. E non è un dettaglio minore.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.