Il Sì&No del giorno
Giusta la scelta di non premiare la scrittrice palestinese Adania Shibli? Sì perché non ha preso una chiara posizione contro Hamas

Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sul caso Adania Shibli. Giusta la scelta di non premiarla con il LiBeraturpreis 2023? Ne scrivono per noi Ludovico Seppilli, sostenendo le ragioni del “sì”, e Francesca Sabella analizzando quelle del “no“.
Di seguito il commento di Ludovico Seppilli
Il più grande sbaglio che potremmo fare e quello di intestare le colpe di Hamas all’intera popolazione palestinese o, ancor peggio, all’intero mondo arabo. Ma non possiamo far finta di non vedere due grandi oggettività: primo, la maggioranza del popolo palestinese Hamas lo ha votato e sostenuto nella sua ascesa al potere a Gaza. La stessa Autorità Palestinese ha impiegato giorni prima di rilasciare uno scarno comunicato con cui Abu Mazen sì e dissociato dagli atti di terrorismo di Hamas. Secondo, salvo poche eccezioni c’è un tentativo costante di minimizzare o giustificare gli atti di Hamas da gran parte dei Governi arabi. Questo rende molto rilevante il come le figure esposte a pubblica visibilità e gli intellettuali di quel mondo arabo approccino la questione. Che soggettività può esserci di fronte a dei bambini decapitati? Che spazio di discussione si trova di fronte alle decine di accordi di pace che Israele ha proposto negli anni e che il blocco arabo ha sempre respinto, quando non sabotato? Su cosa c’è da interrogarsi prima di condannare senza i “se” i “ma” i “però” l’irruzione in case civili, lo stupro e gli assassini compiuti con brutalità nella notte dello scorso 6-7 ottobre nei Kibbutz? Mai come in questo frangente è chiaro chi attacca i civili con modalità a dir poco rivoltanti e chi difende il proprio diritto ad esistere, rispondendo con l’annientamento non di una popolazione ma di un movimento terroristico.
Che c’entra questo con la fiera del libro di Francoforte? C’entra perché, per quanto io abbia cercato a fondo, non ho trovato una presa di posizione della signora Adana Shibli che dica chiaramente “è colpa di Hamas”. O che abbia il coraggio di scrivere “Hamas è il primo nemico dei palestinesi.” In una sua recente intervista a Left, la Shibli parla invece di occupazioni israeliane, mistifica gli avvenimenti del 2021 a Gerusalemme Est. E in questi giorni ha dichiarato “Quella che vive il popolo palestinese è l’occupazione più lunga della storia moderna, un’occupazione che si è trasformata in apartheid e che ha reso Gaza una prigione a cielo aperto per oltre 2 milioni di persone”. Poche parole, tantissime bugie. Gaza è una prigione perché l’Egitto tiene chiuso il confine e si guarda bene dall’aprire il valico di Rafah. Alla faccia della solidarietà tra popolazioni arabe. Quale apartheid? Perché invece una scrittrice come lei non racconta dei tentativi dello Stato di Israele di inviare medicinali o assistenza a Gaza, quotidianamente bloccati dai miliziani di Hamas? Scegliendo di usare una parola come “apartheid” del tutto fuori contesto, trasmette proprio quella sensazione di tendenza alla legittimazione o di scusanti ad una parte, Hamas, che non può in alcun modo averne diritto.
Per questo, giustamente, a Francoforte si sceglie di non premiarla. Per quella rinuncia a un ruolo di responsabilità che noi, che vorremmo veder coesistere in pace palestinesi ed israeliani, ci aspetteremmo lei abbia il coraggio di assumersi. Scandendo a parole chiare le colpe di Hamas. Ricordando che il 17,8% degli abitanti di Israele professano l’Islam come religione. E lo Stato di Israele garantisce il loro diritto a farlo. Nelle stesse ore in cui i miliziani di Hamas legano a dei carretti i ragazzi omosessuali, uccidendoli dopo averli trascinati per strada per chilometri. Perché Adana Shibli non usa la sua credibilità nel suo popolo per portare questi messaggi? Meriterebbe in tal caso ogni premio possibile e, ancor più, il nostro plauso e sostegno. Piegandosi invece alla narrativa dell’Israele colonizzatore cattivo, una falsa bugia storica ancor prima che politica, sceglie lei stessa di non essere degna di alcun premio.“Bisogna interrogarsi sulle ragioni del terrorismo” ha sentenziato, senza riuscire a essere vinto dallo schifo, Patrik Zaki. La ragione del terrorismo è soltanto una: l’esistenza sul pianeta di soggetti immondi, che ritengono l’uso della bestialità uno strumento di affermazione delle proprie idee. Soggetti la cui esistenza non può essere compatibile con la civiltà umana. Eccole, cari Patrik, Adana e tutti gli altri abdicanti al coraggio di denunciarlo con forza, le ragioni del terrorismo.
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