Se un magistrato parla con Luca Palamara di nomine ed incarichi risulta essere inevitabilmente “deficitario sotto il profilo dell’indipendenza da impropri condizionamenti”. Se lo stesso magistrato, invece, parla con un collega di punta della sinistra giudiziaria della nomina del vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, va tutto bene.

È la quanto mai singolare la vicenda che ha riguardato il procuratore aggiunto di Roma Antonello Racanelli. Il magistrato, infatti, per aver parlato nel lontano 2019 con Palamara ha rischiato ieri di essere rimosso dal Plenum di Palazzo dei Marescialli dall’incarico e di tornare a fare il Pm. Racanelli, va detto, per questi stessi fatti era stato archiviato dai probiviri dell’Associazione nazionale magistrati che non avevano evidenziato criticità sotto il profilo deontologico.

Lo zelo sanzionatorio dell’organo di autogoverno delle toghe si è ben guardato, invece, di contestare a Racanelli una sua conversazione avuta l’anno prima, alla vigilia del voto del Parlamento per i componenti laici del Csm, con Giuseppe Cascini, anch’egli procuratore aggiunto a Roma ed esponente di punta delle toghe progressiste.

La conversazione fra Cascini e Racanelli, quest’ultimo all’epoca segretario nazionale di Magistratura indipendente, la corrente moderata delle toghe, era finalizzata a sponsorizzare la nomina del costituzionalista di area dem Massimo Luciani come numero due di Sergio Mattarella.

“Senti Antonello, qui bisogna pensare seriamente, qui è interessato, è un grosso professore di diritto costituzionale che però ha una richiesta: lui accetta di essere nominato tra gli eletti dal Parlamento solo se c’è l’accordo all’unanimità di tutti i gruppi sul suo nome”, gli avrebbe detto Cascini. “Guarda Giuseppe, non tocca a me decidere, io posso trasmettere il tuo messaggio e la tua richiesta ai consiglieri di Mi”, la risposta di Racanelli.

Il procuratore aggiunto della Capitale decise così di inviare un messaggino ai cinque togati del Csm eletti in quota Magistratura indipendente: “Guardate, Cascini mi ha chiamato, mi ha detto questa cosa, vuole l’appoggio di tutti i gruppi su questo nome. Decidete voi. Se siete d’accordo io dico a Cascini che Mi è d’accordo a eleggerlo”. I cinque consiglieri, dopo essersi consultati, gli fecero sapere che Luciani non andava bene e Racanelli avvisò subito Cascini.

Trascorsa qualche settimana, Cascini andò a trovare Racanelli in ufficio a piazzale Clodio. “Sai – disse Cascini – siccome sento dire che probabilmente Mi intende appoggiare il professore Lanzi (Alessio, eletto in quota Forza Italia, Ndr), ti comunico che Lanzi è stato autore di un’audizione in Commissione bicamerale in cui ha parlato della separazione delle carriere”. Racanelli: “Io non sapevo di questo particolare, ognuno ha il suo modo di rapportarsi e sapere le vicende degli altri”. E poi: “Fammi sapere cosa ha detto”.

La partita della nomina del vice presidente del Csm ebbe allora un finale a sorpresa con il nome di David Ermini, responsabile giustizia del Pd ma osteggiato dalla sinistra giudiziaria che puntò, senza successo, sul professore Alberto Maria Benedetti, voluto dai grillini.

L’elezione al cardiopalma del vicepresidente del Csm avverrà il 27 settembre del 2018 e terminerà con 13 voti per Ermini ed 11 per Benedetti. Saranno determinanti i voti del primo presidente della Cassazione Giovanni Mammone (Mi) e del Pg Riccardo Fuzio (Unicost).