Da un bel documento della Camera Penale di Catanzaro apprendiamo l’ennesimo, sconcertante capitolo della vicenda giudiziaria che vede protagonista l’avv. Giancarlo Pittelli. Il prestigioso professionista calabrese, si sa, è da quasi due anni privato della sua libertà personale, in quanto prima indagato ed ora imputato nella famosa inchiesta “Rinascita Scott” alla quale il Procuratore Nicola Gratteri ha già assegnato pubblicamente, ben prima ed anzi a prescindere dalle future sentenze, la funzione catartica e palingenetica di liberazione e riscatto della intera Calabria, se non dell’intero meridione.
Per ragioni che prima o poi dovremo finalmente comprendere, l’avv. Pittelli è trattato, processualmente parlando, alla stregua di un super boss ‘ndranghetistico (pur avendo da subito la Corte di Cassazione escluso la sua intraneità all’associazione). Egli si trova risucchiato nella vicenda da quell’autentico buco nero che è il famigerato concorso esterno, meccanismo infernale particolarmente allarmante, come tutti possono comprendere, se costruito intorno alla attività professionale di difensore di alcuni dei personaggi di vertice della cosca. Dunque Bad’e Carros, cioè forse il più duro penitenziario italiano, per poco meno di un anno, poi arresti domiciliari sorvegliatissimi. Pittelli un bel giorno decide di scrivere una lettera ad una Ministra della Repubblica, supplicandola di aiutarlo in una vicenda che egli rappresenta all’antica collega di partito come una ingiusta persecuzione.
Se quella lettera l’avesse scritta dal carcere, nessuno avrebbe potuto obiettare alcunché; è all’ordine del giorno che i detenuti che si dichiarino vittime di persecuzioni giudiziarie si rivolgano, supplici, alle “Autorità”, chiedendo attenzione ed aiuto. Ma poiché scrive quella lettera dal domicilio, dove ha il divieto assoluto di comunicazione, e viene scoperto (su segnalazione della Ministra!), il Tribunale, su richiesta della Procura, lo rispedisce in cella. Dopo due mesi, lo stesso Tribunale accoglie l’istanza difensiva di restituzione di Pittelli ai domiciliari (meglio tardi che mai). Ma la Procura di Catanzaro non molla l’osso, ed impugna quel provvedimento: Pittelli merita solo il carcere preventivo, per tutto il tempo (una enormità di tempo) che la legge consente. Ma c’è una notizia nella notizia, che basta da sola a fotografare il contesto giudiziario nel quale questa incredibile vicenda si va dipanando, e che è ben colta dagli amici della Camera Penale catanzarese.
L’udienza di trattazione dell’appello proposta dalla Procura di Catanzaro è stata fissata un mese dopo il deposito della impugnazione (16 febbraio il deposito, 22 marzo l’udienza). Bene, direte voi, giustizia celere, non c’è che da compiacersi. Ed io sarei senz’altro d’accordo, se questa tempistica riguardasse tutti gli appelli in materia cautelare, sia quelli proposti dall’Accusa che quelli proposti dalle difese. Senonché, non è affatto così. I Colleghi catanzaresi ci informano che mediamente la fissazione di una udienza di appello avverso un provvedimento cautelare oscilla tra i quattro ed i sei mesi dalla sua presentazione. Non solo non ho motivo di dubitare di questa informazione, ma aggiungo che essa è in linea con la media nazionale. Mentre infatti le udienze di riesame delle misure cautelari appena emesse devono per legge celebrarsi entro dieci giorni dal pervenimento degli atti, gli appelli contro i successivi dinieghi delle istanze di revoca, non essendo presidiati da termini di decadenza, si aggirano un po’ ovunque in Italia intorno a quei tempi: dai quattro ai sei mesi.
Dunque la domanda che pone la Camera Penale di Catanzaro è molto semplice. E poiché le domande semplici su vicende di questa vitale rilevanza democratica e costituzionale -la parità delle armi tra Accusa e Difesa, la equità e la imparzialità della Giustizia, il diritto al giusto processo- meritano risposte altrettanto semplici ed immediate, io la ripeto e la rilancio: perché questo atto di appello del Procuratore Gratteri contro la restituzione dell’avv. Pittelli dal carcere agli arresti domiciliari ha potuto godere di una così inusitata corsia preferenziale? Quali regole, quali protocolli, quali direttive hanno trovato applicazione, in questo caso, da parte del Tribunale della Libertà di Catanzaro?
Poiché non possiamo pensare, ci rifiutiamo di pensare che quel Tribunale possa coltivare l’assurda, scandalosa idea che una impugnazione dell’Accusa valga più di una impugnazione della difesa, è ovvio che debba esserci una spiegazione, legata a criteri chiari, predeterminati ed oggettivamente riscontrabili, che colpevolmente la Camera Penale di Catanzaro e tutti noi ignoriamo. Ecco dunque l’occasione per renderla nota a tutti noi. Attendiamo fiduciosi, signor Presidente del Tribunale della Libertà di Catanzaro. Fiduciosi e fermamente intenzionati a ripetere la domanda, in tutte le opportune sedi, fino a quando non ci sarà data risposta.