Crac della giustizia
Giustizia, ora l’amnistia è inevitabile

Quando nel 2018 la Società della Ragione, su impulso del prof. Andrea Pugiotto, promosse un seminario di approfondimento sul tema dell’amnistia e dell’indulto poteva apparire, in un tempo dominato dall’uso populistico della giustizia penale, una prova di insensibilità o di ingenuità. O, come si usa dire, una provocazione intellettuale destinata a tradursi nel nulla sul terreno politico. Invece oggi la proposta contenuta alla fine del volume che riproponeva la discussione con oltre venti voci a confronto, torna di attualità, non solo perché è depositata alla Camera dei Deputati grazie all’iniziativa di Riccardo Magi, ma perché la crisi della giustizia è esplosa. Ieri si è svolto un incontro coordinato da Stefano Anastasia che con me aveva scritto le considerazioni finali nel volume pubblicato dalle edizioni Ediesse per stabilire una strategia per proseguire una battaglia che diventa centrale.
Tutti noi abbiamo ben presente la dura invettiva di Gaetano Salvemini che dalle colonne de Il Ponte nel 1949 indicava l’Italia come il Paese delle amnistie e abbiamo ben presente il numero esorbitante di provvedimenti di amnistia e di indulto che ha caratterizzato fino agli anni Novanta la gestione di un sistema non altrimenti governabile. La pratica di governo democristiana che utilizzava i due rubinetti dell’amnistia e dell’indulto per liberare le scrivanie dei tribunali da troppe carte e le carceri da troppi corpi, allo scopo di mantenere in equilibrio il sistema della giustizia, fu interrotta bruscamente nel 1992 con un intervento sull’art. 79 della Costituzione, prevedendo un quorum irraggiungibile e irragionevole per l’approvazione del provvedimento. La giustificazione era motivata dall’entrata in vigore del codice di proceduta penale elaborato da Gian Domenico Pisapia che avrebbe dovuto cambiare radicalmente il sistema penale italiano, rendendolo al tempo stesso più efficiente e più garantista. Questa aspettativa si risolse presto in una illusione perché la riforma fu ampiamente sterilizzata per il sopravvenire dell’emergenza mafia, per la scelta di criminalizzare il consumo delle droghe, l’irrompere del nuovo fenomeno dell’immigrazione: la scelta del panpenalismo fece esplodere cause e celle.
Molto è cambiato nel rapporto con la giustizia da parte dell’opinione pubblica da allora. Le obiezioni alle amnistie erano circoscritte agli illuministi difensori delle regole dello stato di diritto, senza nessuna protesta delle vittime, oggi sono invece cavalcate da giustizialisti, imprenditori della paura e fautori della certezza della pena. L’orientamento culturale ha subito una torsione così forte che il prof. Vincenzo Maiello aveva suggerito di abbandonare il termine “clemenza” per il sapore indulgenziale e il carattere teologico-paternalistico. L’invocazione diffusa della giustizia sotto forma di pena e, specificamente, di carcere nasconde esplicite pulsioni di vendetta privata, in perfetta contrapposizione al pensiero di Aldo Moro.
La pandemia ha prodotto effetti enormi sul funzionamento dei tribunali e il sovraffollamento nel carcere con il ritorno delle rivolte (13 detenuti morti sono stati ignobilmente dimenticati in fretta e furia), rendono l’inevitabilità di un provvedimento di amnistia una questione da discutere subito. Non è accettabile che la pratica adottata negli ultimi anni di operare scelte di priorità discrezionale da parte dei pubblici ministeri o su indicazione dei procuratori, mantenendo il simulacro dell’obbligatorietà dell’azione penale, si enfatizzi di fronte all’ingolfamento del sistema, come ha denunciato Paolo Borgna recentemente sull’Avvenire.
C’è davvero bisogno di un nuovo inizio. Di fronte a questo dilemma, le giaculatorie sulla velocizzazione dei processi, sulla abolizione della prescrizione, sulla costruzione di nuove carceri, hanno un sapore rancido. Dalla bulimia si è passati all’astinenza più crudele, eliminando il principio di clemenza che costituisce l’elemento destinato a bilanciare gli eccessi sempre possibili del principio di legalità penale. Un altro paradosso che emerge dalla analisi delle conseguenze della sterilizzazione dell’istituto di clemenza collettiva è la contestuale riduzione dell’esercizio della clemenza individuale. Sono purtroppo caduti nel vuoto gli inviti al Presidente Mattarella perché esercitasse pienamente gli spazi offerti dalla sentenza n. 200/2006 della Corte Costituzionale per concedere un numero consistente di grazie umanitarie, indirizzate in modo particolare a detenuti anziani, malati e alle detenute madri.
C’è qualcosa di peggio dell’amnistia, ed è l’amnesia. Mette bene in luce questa aporia Paolo Caroli nel volume Il potere di non punire dedicato all’amnistia Togliatti. Occorre coltivare la memoria di un Paese, perché non sia “un ben povero paese: anzi diciamo pure, un paese miserabile” e solo così siamo obbligati a fare i conti con le contraddizioni e le transizioni. Ci sarà tempo per approfondire i contenuti e le caratteristiche di un provvedimento di amnistia e indulto. Abbiamo deciso di impegnarci per creare le condizioni della decisione del Parlamento, per rifondare uno statuto costituzionale di uno strumento indispensabile “in presenza di situazioni straordinarie o per ragioni eccezionali”. L’impegno sarà prioritariamente finalizzato a far sottoscrivere la proposta di legge 2456 a molti deputati e a organizzare un convegno che abbia la forza di imporre la calendarizzazione del provvedimento entro l’estate. Da oggi, al lavoro e alla lotta, come si diceva una volta.
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