Attenzione a non mortificare ancora il ruolo della difesa
Giustizia sbilanciata, sempre più pm e pochi giudici

Gli interventi in occasione della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario a Napoli, tornata a svolgersi nello splendido Salone dei Busti in Castelcapuano, permettono alcune riflessioni. Nel silenzio assordante dovuto alle misure sanitarie ancora in atto, davanti agli sguardi dei grandi avvocati che quel Salone testimonia per sempre, il presidente della Corte d’Appello De Carolis ha ribadito ancora una volta le doglianze per la obiettiva penuria di uomini e mezzi che affligge l’apparato giudicante e segnatamente l’organico della Corte d’Appello. I dati offerti suggeriscono una prima riflessione integrata dal sempre più grande divario di uomini e di mezzi – e dunque di risorse – tra la magistratura inquirente e quella giudicante.
Le Procure, in particolare quella di Napoli, forte di 112 pubblici ministeri (ed oltre cento viceprocuratori onorari) e della Dda, costituisce un complesso apparato dotato di uomini e strumenti investigativi notevoli, se si considera anche la polizia giudiziaria al suo servizio e che la spesa per le indagini, in primis per le intercettazioni (telefoniche, ambientali, informatiche), resta molto elevata. Eppure, l’inquirente presenta risultati quantomeno contraddittori rispetto a simile schieramento di forze, se è vero che circa il 50% dei procedimenti con indagati “noti” termina con una richiesta di archiviazione, spesso al termine di indagini ben poco approfondite. Il dato deve far riflettere: non parliamo dei procedimenti a carico di ignoti (furti etc.) bensì di reati denunciati da privati o dalla polizia giudiziaria che hanno dato luogo a un’iscrizione a carico di un ben individuato indagato.
Come si spiega questo dato che risulta, peraltro, in costante aumento? La tematica merita un approfondimento per conoscere le ragioni di negare qualsivoglia approfondimento anche in relazione a fatti che segnano pesantemente la vita della persona offesa che si è rivolta al pm per veder tutelati i propri diritti personali e patrimoniali. Altra assenza di rilievo nei dati della Procura è costituita dai procedimenti in tema di responsabilità da reato dell’ente ex D. L.vo 231/01, modello organizzativo che va invece promosso ed incentivato (e perciò perseguito in sua assenza) proprio per meglio valutare la serietà delle aziende. Altro dato su cui riflettere è l’ingresso di alcuni istituti legati al Pnrr. In particolare, nel corso della relazione del presidente Giuseppe De Carolis di Prossedi, si è discusso del disposition time per la definizione degli affari civili e penali. Ben vengano tutti gli aiuti e le risorse per colmare le lacune degli organici della magistratura e del personale amministrativo (si pensi alla situazione drammatica in cui versa il Tribunale di Sorveglianza, problematica gravissima quanto trascurata nelle relazioni) ma certamente non è accettabile che lo stesso rappresenti un altro ostacolo per un accertamento giudiziario che deve essere condotto in modo sereno e completo nel corso dei procedimenti di primo grado e di appello.
Sotto questo profilo, va ricordato come la pandemia abbia già determinato una serie di limitazioni al sistema delle garanzie e al diritto di difesa, addossando all’avvocato una serie di ulteriori compiti e responsabilità come l’essere il destinatario delle comunicazioni del processo anche per la parte che rappresenta, il dover presentare tempestive richieste per ottenere che il processo venga celebrato non da remoto o in una inaccettabile forma scritta, per non parlare della espulsione dell’imputato detenuto dall’aula e dell’assenza del pubblico che è il primo momento di controllo democratico: non si dimentichi che la giustizia è amministrata in nome del popolo italiano che da due anni è assente per legge dal processo. Insomma, già la difesa non è presente durante le indagini e in fase cautelare non si muove certo alla pari rispetto alla pubblica accusa ma almeno nella fase dibattimentale non può vedersi sottratto l’accertamento istruttorio in nome di un cronometro; fare in fretta è un concetto che ben difficilmente si declina con il fare bene e mai con il fare giustizia. La vera novità di cui s’è detto nelle relazioni è l’ufficio del processo, si sa che ci sarà ma nessuno sa a quali compiti sarà concretamente destinato.
Rinviando a fasi successive ogni valutazione, auguriamoci soltanto che non si tratti, come purtroppo è stato detto nel corso della cerimonia, di persone cui affidare il compito di studiare il processo e di scrivere la sentenza lasciando al giudice il compito di decidere. È bene dirlo subito: se si intende assegnare all’ufficio del processo il compito più importante del giudizio, ovvero la motivazione dei provvedimenti giudiziari – atto che per costituzione e per legge il giudice deve porre a base della sua decisione –, la scelta sarebbe inaccettabile: non può essere giusto il verdetto emesso da un giudice che per legge vede lo studio di altri e la motivazione da altri ancora. Tutti d’accordo, invece, sull’atto di accusa al Csm da parte del procuratore generale Luigi Riello: a fronte di una serie di vicende che hanno messo alle corde l’organo di autogoverno chiamato dalla Costituzione ad assicurare autonomia ed indipendenza della magistratura, è del tutto mancato quel profondo esame di coscienza collettivo ed è stato così inferto un danno grave alla credibilità dell’intera magistratura.
In particolare, ha detto il pg, nulla di concreto risulta essere stato fatto per arginare lo strapotere delle correnti interne alla magistratura che era ed è alla base del malessere di cui è emersa soltanto la punta di un iceberg e le cui dimensioni sono ancora ignote. «Che ci sta a fare un Csm così?», ha chiesto, retoricamente, Riello. In conclusione, il presidente del Consiglio dell’Ordine di Napoli Antonio Tafuri ha fatto bene ad evidenziare il cospicuo numero dei procedimenti e delle sanzioni disciplinari che il Consiglio distrettuale di disciplina, con rinnovata energia, ha portato avanti con tempismo. L’augurio più grande, dunque, lo dirigo ai colleghi avvocati, perché non si deve mai dimenticare che il conto più salato della pandemia lo ha pagato proprio l’avvocatura (come tutti i lavoratori autonomi), costretta a lavorare tra mille difficoltà a causa delle penalizzanti misure sanitarie, delle perduranti carenze organizzative e della diffusa crisi economica.
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