Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sul fatto sportivo che ha attirato grande attenzione nelle ultime giornate: i fischi e le urla contro il portiere Gianluigi Donnarumma. Abbiamo chiesto un parere al giornalista Giovanni Capuano, che condanna il gesto, e al collega Luca Sablone che, invece, lo ritiene accettabile.
Qui di seguito, l’opinione di Giovanni Capuano.
No, non è stato normale e non è nemmeno detto che si debba stare per forza zitti e buoni come ha detto Spalletti. E neppure che, siccome i calciatori sono dei privilegiati (vero) debbano tapparsi le orecchie e non fare la figura dei bambini viziati. Non è stato normale che San Siro – o parte di esso – abbia passato la serata a fischiare e ululare dietro a Gianluigi Donnarumma, fino a prova contraria portiere e capitano di una Nazionale con le spalle al muro. Non è normale e non si capisce perché si debba fare finta di accettarlo come tale, forse per non urtare la suscettibilità di chi aveva delle ragioni ma ormai ha passato da tempo la linea che le divide dai torti.
Donnarumma e il Milan si sono mollati (male) due anni, due mesi e dieci giorni fa. Nell’occasione il ruolo del cattivo lo ha interpretato Gigio con al seguito l’entourage, ma poi di cose ne sono successe: ad esempio che il Milan ha portato in quattro e quattr’otto a Milanello un portiere più forte di lui, più carismatico, più economico e più vincente. Insomma, più tutto. I tifosi rossoneri, però, hanno scelto di praticare l’arte della vendetta che si sta trasformando in stalking. E passi per quando il ‘traditore’ si presenterà da avversario, ma quanto accaduto contro di lui e contro la Nazionale non ha alcun senso del limite e alcuna giustificazione.
Gli azzurri hanno vinto, dunque tutto passerà in fretta in attesa del prossimo appuntamento col fischio libero. E se fosse andata male? Non è normale abituarsi a far giocare la Nazionale in trasferta anche quando dovrebbe essere in casa e accettare la logica di chi vive al passato coltivando odi e rancori. Si dice: il calcio e il tifo sono irrazionali per definizione, impossibile e ingiusto pretendere linearità di pensiero laddove albergano gli istinti più bassi. Vero. Ma esiste un limite e un diritto all’autotutela.
Ad esempio, sarebbe da avviare una profonda riflessione sull’opportunità di rimandare ancora l’Italia a San Siro. Almeno fino a quando non sarà entrato nella testa degli ultimi giapponesi del fischio (non pochi, purtroppo) che la guerra è finita ed è ora di tornare a casa. Perché costringere un giocatore e tutti i compagni a convivere con le forche caudine del processo su pubblica piazza? Perché esporsi al rischio di una condizione ambientale non ideale per inseguire un risultato sportivo? L’Italia ha tanti stadi e tante piazze pronte ad accoglierla con amore incondizionato, non ha bisogno di San Siro dove – al fianco della passione di tanti – convivono i disagi di una minoranza molto rumorosa.
Dopo il fischio finale del signor Alejandro Hernandez da Lanzarote tutto il gruppo è corso a stringersi intorno a Donnarumma. Poi Davide Frattesi, l’eroe di serata, ha definito il contorno sonoro della partita “una cosa indegna”. Tradotto per i duri di comprendonio: la situazione è stata sofferta da tutti, non solo da Gigio. E non è detto che vada sempre bene. Quindi no. Non è normale che una notte di calcio si trasformi in un rito barbaro di contestazione ‘ad personam’ e non è nemmeno detto che si debba stare per forza zitti e buoni.
Per tre giorni Luciano Spalletti (voto 9 per aver scavallato una settimana impossibile viste le condizioni in cui ha preso la nazionale in corsa) ha risposto sul tema facendo finta di ignorare che i fischi a Donnarumma erano legati alle questioni dell’estate dell’addio al Milan, non alla papera di Skopje. Rivedibile, anche se spinto dalla necessità di tenersi buona la folla. Ma è lo stesso Spalletti che zittiva i contestatori a Napoli o che si è preso con un maleducato a Firenze. Perché accettare la maleducazione non è normale. Punto. E non è normale far finta che lo sia.