Ma davvero le carte su Gladio e la loggia P2 che il governo Draghi ha deciso di desecretare possono essere decisive nel fare piena luce sul terrorismo italiano come con grande enfasi viene propagandato? La risposta la conoscono alcune centinaia di persone in Italia. Ed è decisamente negativa. Quelle carte sono buone tutt’al più a scrivere un capitolo di nicchia di un libro di nicchia. Perché si parla di centinaia di persone a conoscenza di quelle carte?

Perché fin dal 1990, anno dell’avvio dell’inchiesta veneziana su Gladio, decine di inchieste giudiziarie hanno permesso ai Pm e ai loro collaboratori, professori universitari, studiosi e ufficiali di Pg, di entrare negli archivi degli apparati – servizi di sicurezza e forze dell’ordine, ministeri e presidenza del Consiglio per citare gli archivi più “pesanti”. Attenzione: si tratta per lo più di inchieste per le quali non era opponibile il segreto di Stato e la ricerca ha letteralmente preso d’assalto come mai era successo prima i sancta sanctorum degli archivi italiani più inaccessibili. Furono le inchieste del giudice Guido Salvini per Piazza Fontana e di Francesco Piantoni e Roberto Di Martino per la strage di Brescia a causare la più ampia disclosure negli archivi italiani, indicando precise responsabilità politiche e criminali del periodo più caldo della strategia della tensione. Ampie prove del coinvolgimento dei condannati definitivi per Piazza della Loggia arrivarono per esempio dagli archivi del Viminale. Una parte di quelle carte sono finite nei fascicoli processuali a disposizione dei giudici e degli avvocati e da qui sono tracimate nelle commissioni parlamentari d’inchiesta fino a diventare nei fatti pubbliche.

La domanda a questo punto è: potremmo mai trovare qualche verità nascosta e inedita nelle carte che il governo Draghi, ottemperando alla c.d. Renzi, vuole desecretare, qualche nuova pista investigativa o addirittura una pistola fumante che riveli qualche segreto ancora ben custodito? Siamo seri. Decine di Procure, ufficiali ed esperti che hanno avuto modo di compulsare quelle carte possono aver fatto tutti simili errori? Si tratterebbe del più gigantesco depistaggio della storia del mondo. Roba che nemmeno la più spericolata mente complottista potrebbe immaginare. Certo, potremmo tutt’al più trovare la scheda di un aspirante gladiatore che secondo i suoi esaminatori “di fronte allo stress manifestava una tendenza all’enuresi”, fatto vero emerso in una seduta della Commissione Stragi alla metà degli anni 90.

Insomma, le carte che tanto pomposamente vengono definite come “possibilmente decisive” nella ricostruzione della strategia della tensione sono materiali di risulta, già abbondantemente vagliate. Tutto bene, quindi? No, ovviamente. La legge sul segreto di Stato, riformata nel 2007, ha aspetti e realizzazioni pratiche molto discutibili. Eccone alcune.
Gli apparati e le burocrazie ministeriali anche quando non oppongono il segreto di stato obliterano qualsiasi atto che proviene in parte o in tutto da servizi stranieri. La disclosure epocale degli anni 90-2000 non sarà replicabile. La legge oggi vieta l’utilizzo ai Pm di personale non appartenente agli apparati o alla Pg.

Le inchieste sulle stragi di Milano e Brescia sarebbero durate anni con l’attuale legge o avrebbero dovuto rinunciare ad entrare negli archivi dei servizi. Non c’è ancora una mappatura degli archivi: nel corso dell’inchiesta bresciana si appurò che erano ben sette gli archivi della Presidenza del Consiglio, alcuni dei quali inaccessibili per questioni logistiche. O il caso dell’archivio parallelo della Via Appia, accuratamente occultato per decenni dal Viminale.
La questione ancora oggi aperta non riguarda le carte ma come e dove vengono archiviate.

Altra questione aperta è quella delle fonti: la legge proibisce ai servizi di arruolare ufficiali di polizia giudiziaria e giornalisti o di redigere fascicoli personali senza alcuna necessità. Davvero qualcuno controlla che ciò non avvenga?
Insomma, accettiamo come grande conquista democratica una montagna di carta vista e rivista ma alla politica della sicurezza oggi chi ci pensa?