La tendenza avvistata nelle ultime 48 ore trova conferma nel pallottoliere serale da giorni in rapida evoluzione: il governo Draghi perde la trazione di centrosinistra e diventa a guida centrodestra. E dire che al Senato era stato lanciato il gruppo interparlamentare Pd-M5s-Leu proprio per dimostrare che la golden share del governo Draghi era saldamente nelle mani del centrosinistra. Tutto ciò è conseguenza della scissione 5 Stelle che ha colpito 26 senatori e 21 deputati che hanno votato No al governo Draghi e che sono già stati espulsi dal gruppo con tanto di lettera firmata dai capigruppo Licheri e Crippa.

Al Senato Pd-Leu e 5 Stelle oggi contano 110 voti. Lega e Forza Italia invece 115. Alla Camera, dove pure le distanze si accorciano, la maggioranza resta invece a trazione Pd-M5s-Leu che contano 273 deputati contro i 218 di Lega e Forza Italia. Si tratta di microfenomeni che possono anche sfuggire all’osservazione ordinaria delle scena politica. Ma destinati ad avere conseguenze sostanziali. Basti pensare al lavoro nelle Commissioni, filtro obbligatorio di tutta l’attività legislativa e normativa. Chiariamo subito che la maggioranza Draghi è forte e ben salda grazie ai voti dei vari gruppi centristi (Maie, Centro democratico, Cambiamo, +Europa, Autonomie). Anzi, una volta alleggerita del gruppo dei ribelli grillini, è destinata probabilmente a marciare più spedita. E però la bandierina della maggioranza “politica” passa di mano. A meno che Pd e M5s non tornino di nuovo a patti con i 18 senatori di Italia viva espulsi a loro volta e loro malgrado dal recinto del centrosinistra.

Il cambio di golden share dice molto sulla liquidità del quadro politico attuale, sulla scomposizione e ricomposizione delle tradizionali aree politiche destra sinistra e centro. E costringe il premier Draghi a selezionare ancora di più o meglio le prossime scelte. Un’altra partita rallentata dal ridimensionamento dei gruppi parlamentari 5 Stelle è quella del sottogoverno. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Roberto Garofoli sta lavorando alla composizione della squadra di 40 sottosegretari. Il dimagrimento forzato dei gruppi grillini potrebbe semplificare la difficile composizione del puzzle. Nel senso che lascia posti liberi ad altre forze politiche.

La lettera è arrivata ieri pomeriggio ai 20 deputati che giovedì sera non hanno votato la fiducia al governo Draghi. Il capogruppo Crippa prende atto di come «dal resoconto della seduta dell’assemblea di giovedì 18 febbraio risulta che tu abbia votato in difformità dal Gruppo… Tale fatto, oltre a denotare il mancato rispetto delle decisioni assunte dagli iscritti con la votazione in rete pregiudica l’immagine e l’azione politica del nostro Gruppo parlamentare. Pertanto, su indicazione del Capo politico, dispongo la tua immediata espulsione dal gruppo parlamentare». La chiosa finale, «Un cordiale saluto», certifica la tragedia nella beffa. La tensione tra i gruppi resta altissima. Molti considerano la lettera “carta straccia”. L’avvocato Borrè, da anni diventato il riferimento legale per gli espulsi, snocciola una lista di “validi motivi” per invalidare l’espulsione tanto dal gruppo quanto dal Movimento.

Nel primo caso perché «Vito Crimi, il capo politico reggente che ha deciso le espulsioni, non ha più questa qualifica e questo potere visto che dal giorno 18 il suo ruolo è stato assunto da un Comitato direttivo a 5 (ancora vacante) e poi perché l’articolo 21 del Regolamento M5s stabilisce che l’espulsione venga ratificata da una votazione on line». Non solo: l’espulsione non è valida perché la votazione sulla piattaforma Rousseau sul gradimento al governo Draghi era «una consultazione non vincolante». Anche la votazione on line, per la ratifica, non è avvenuta. Troppa fretta. Quindi. Volano stracci. Anzi ricorsi legali. E non è mai una bella cosa. Il fatto è che tra gli espulsi ci sono militanti storici del Movimento – Morra, Lezzi, Lannutti, Crucioli – «compagni di viaggio di tante battaglie» e nessuno li vuole salutare a cuor leggero. Fare finta di nulla però non era più possibile. Il dente dei ribelli alla linea governista prima o poi andava rimosso. Il tempo è adesso. O mai più.

A complicare la situazione arriva anche il giallo dei Probiviri, l’organo che, come in ogni partito, deve decidere in caso di provvedimenti disciplinari. I tre giudici interni – il ministro Dadone, il consigliere regionale Jacopo Berti e la consigliera comunale Raffaella Andreola – potrebbero dimettersi congelando nei fatti l’espulsione. È il caso, ad esempio, di Andreola che in un post su Facebook invita a «sospendere tutte le attività di ordinaria competenza e spettanza del Collegio, quali richiami, sospensioni ed espulsioni degli iscritti e portavoce del Movimento, in attesa che vengano ricostituiti tutti gli organismi direttivi». Un bel “ciaone” a Crimi e alle sue lettere di espulsione visto che sono firmate da una carica che non esiste più. Da segnalare che ci potrebbero anche altri 11 espulsi alla Camera, gli assenti di cui è in valutazione la giustificazione.

In tutto questo c’è chi si sta fregando le mani. Gli espulsi sia alla Camera che al Senato hanno la forza numerica per diventare un nuovo gruppo parlamentare di opposizione. Non è chiaro se da destra o da sinistra. C’è il problema del simbolo che verrebbe messo a disposizione da Italia dei Valori tramite il senatore ex Idv Elio Lannutti. Ignazio Messina, proprietario del simbolo, si dice ben contento e già immagina «un nuovo progetto politico che parte da idee e valori condivisi» E soldi, ovviamente. Quelli che spettano ai gruppi parlamentari. Mario Draghi sapeva che la sua esperienza di governo sarebbe stata un’impresa complessa. Arrivare a resuscitare il gabbiano di Italia dei valori, però, forse era troppo da immaginare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.