Il premio al merito
Gli incentivi non funzionano più, Garanzia Giovani ne è un esempio: serve una vera riforma sul lavoro contro la stagione dei bonus
L’Italia è il paese dei bonus. Ce ne sono per tutti i gusti. Solo per il mondo del lavoro e per il supporto al welfare aziendale sono state conteggiate circa 600 forme diverse di incentivi pubblici. Una giungla. Tanto da aver indotto alcuni consulenti a suggerire alle funzioni Hr di recuperare risorse – per adeguare buste paga e benefit integrativi – proprio ottimizzando nel mare magnum dei bonus pubblici.
Ma funzionano? Alcuni certamente no. Una recente ricerca condotta da Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) e anticipata dal Corriere della Sera in questi giorni boccia del tutto “Garanzia Giovani”. Si tratta di un piano di incentivazione all’assunzione dei giovani under 35 (e ancora meno) in gran parte finanziato da fondi strutturali europei, avviato nel 2014. In particolare, rivolto agli Stati con tassi di disoccupazione giovanile superiori al 25%, tra cui rientra anche l’Italia. Questi soldi di Garanzia Giovani – il Programma operativo nazionale (Pon) prevedeva 2,7 miliardi, di cui 2,2 di diretta provenienza Ue – dovevano essere investiti da ogni paese in attività di formazione e lavoro (corsi, tirocini, apprendistato, servizio civile ecc.), politiche attive di orientamento, sostegno e aiuti per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, incentivi alla mobilità. Lo scopo era far sì che molti giovani potessero trovare un posto di lavoro o un percorso formativo entro pochi mesi.
Il programma è stato rifinanziato per il settennato 2021-2027, ma per i primi sette anni (2014-2020) in Italia ha prodotto un risultato totalmente negativo: nessun nuovo posto occupato stabilmente da giovani lavoratori. Il fatto che lo certifichi l’Inapp (ente pubblico vigilato dal ministero del Lavoro) da un lato rassicura sulla veridicità del monitoraggio, dall’altro aggiunge un po’ di inquietudine: oltre al monitoraggio finale (preziosissimo) forse il ministero del Lavoro – magari con altri enti vigilati – avrebbe potuto modulare diversamente l’utilizzo del bonus/incentivo all’assunzione.
Il fallimento di Garanzia Giovani non è il primo sul fronte degli incentivi al lavoro. Se e quando si potrà avere una analisi completa e aggiornata di Gol (Garanzia occupabilità lavoratori) – in questo caso si tratta di un progetto finanziato interamente dal Pnrr, per un valore di circa 4,2 miliardi di euro – possiamo scommettere che gli esiti non saranno molto diversi. Se la vigilanza del Ministero del Lavoro si rivela preziosa solo per misurare il fallimento delle iniziative, resta tutta la preoccupazione per il mancato intervento (correttivo e preventivo) in corso d’opera. Ma anche il silenzio delle parti sociali produce un po’ di sconcerto. Le organizzazioni sindacali forse giocano troppe parti in commedia (la tutela dei lavoratori si accompagna all’erogazione di servizi di formazione finanziati dalle politiche pubbliche che si dovrebbero criticare per la loro inefficacia), per poter produrre contestazioni in tempo utile.
All’orizzonte resta una grande incompiuta: la riforma complessiva del mercato del lavoro, al quale si applicano periodicamente degli eccitanti (i bonus e gli incentivi) che, esaurita la loro sollecitazione, non determinano effetti duraturi. Gli incentivi non funzionano più. Le aziende si schermano, e consumano solo la minima convenienza del bonus; i lavoratori vorrebbero forse la traduzione in busta paga (o in qualche benefit aziendale) dell’equivalente del bonus. È tempo di costruire una ordinata ritirata dalla logica dei bonus, anche e soprattutto nel mondo del lavoro. Si producono spesso sprechi irrecuperabili e complici di un ulteriore abbassamento dei livelli di produttività che fanno del nostro paese il fanalino di coda d’Europa.
Perché non premiare la produttività, invece che beneficare assunzioni generiche e non qualificate? E con la produttività si potrebbe accendere un circolo virtuoso capace di produrre stabilmente innovazione. È la logica del merito – per le aziende e per i lavoratori – una parola che sembrava piacere molto al nuovo governo. Il vero bonus deve essere il premio al merito, in relazione all’innovazione e alla produttività, e non rivolto all’ennesima forma di “assistenza” sociale, dove il vantaggio viene trattenuto dagli intermediari e non dal mercato.
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