La speranza era che almeno Antonio Tajani, già presidente del Parlamento europeo, e ministro degli esteri in carica, oltre che leder di Forza Italia, il partito più europeista nella destra, non indietreggiasse sul Mes. Un po’ come il ministro Raffaele Fitto, che in Europa, come in Italia, si sta muovendo con serietà, rigore, compostezza e competenza, come da ultimo dimostrato dall’approvazione della terza rata del Pnrr. Nonostante i mugugni dei colleghi di governo e di partito.

E invece persino raggiunto il tempo massimo dalla ratifica del Mes, quando l’ultima firma d’Europa che manca è la nostra, il vicepremier ancora temporeggia: “Per la ratifica del Mes ci sarà una scadenza parlamentare, non è una priorità- ha detto ieri Tajani-. Ma non si possono approvare solo le riforme che piacciono a qualcuno e non guardare al un quadro più generale. Il discorso è più articolato e riguarda tutta la politica fiscale”. Eppure Forza Italia fino a prima di andare al governo con Fratelli d’Italia era favorevole.

Nel corso dell’Eurogruppo che si terrà a Santiago de Compostela il prossimo 15 settembre, è previsto all’ordine del giorno un punto di discussione sulla ratifica del trattato. Il direttore del Mes Pierre Gramegna nel corso della riunione dell’Eurogruppo di venerdì farà anche un punto sulle consultazioni in corso con i Paesi aderenti, circa il futuro del Meccanismo di stabilità. Ma “il dibattito sulle modifiche potrà partire solo quando la ratifica sarà completata”, ha spiegato un funzionario. Se la riforma del trattato del Mes non verrà ratificata dall’Italia, il vecchio trattato continuerà ad essere applicato. A fine anno scadranno gli accordi bilaterali di backstop ma “allo stesso tempo il Fondo unico di risoluzione raggiungerà la sua piena dimensione”. L’obiettivo degli accordi bilaterali “era quello di sostenerne la potenza di fuoco in tempi in cui è ancora in fase di costruzione”, ha anche ricordato il funzionario. “Ci saranno quindi più risorse disponibili rispetto ad ora ma non ci sarà il backstop, quindi le risorse non saranno così disponibili come sarebbe stato con la riforma”.

Sulla ratifica del Mes “siamo molto consapevoli della sensibilità del tema in Italia e ovviamente rispettiamo pienamente il processo parlamentare, ma auspichiamo una conclusione positiva del processo quanto prima” ha detto il funzionario. Lì si farà un “aggiornamento sullo stato di avanzamento dei progressi in Italia dove è in corso un processo parlamentare, il che in quanto tale è incoraggiante. Ci aspettiamo che il ministro delle Finanze ci dia un breve aggiornamento su cosa sta succedendo in Italia e cosa aspettarci nei prossimi mesi”.

Siamo l’unico Paese che non ha ancora firmato, e ciò nonostante il governo è impegnato in una sterile gara di rilancio su altre partite. Il governo, come detto, non intende modificare i propri programmi sia sulla ratifica del Mes che sulla trattativa per il Patto di Stabilità in merito al quale è stata chiesta l’esclusione degli investimenti nella transizione green e digitale nonché per il sostegno all’Ucraina dal computo del deficit.

Una logica di pacchetto, l’ha chiamata il presidente Meloni, che però fino ad oggi non ha portato nessuno degli obiettivi richiesti, se non a sembrare la ruota del carro d’Europa. A quanto pare nel cosiddetto “pacchetto” di Meloni c’è la nomina di Daniele Franco alla Bei (in sfida con la commissaria danese alla concorrenza europea Margrethe Vestager, la vicepremier spagnola Nadia Calviño, e due interni).

La cosa incredibile quindi è che il governo che non vuole ratificare la più draghiana delle riforme poi propone per la Banca europea il ministro dell’economia di Draghi. Il sospetto è che dopo un anno di governo, e gli sforzi di responsabilità del premier Meloni e poi suoi ministri, i partiti di maggioranza siano rientrati nella logica da campagna elettorale a suon di spezzeremo le reni all’Europa. Comprensibile, non fosse che senza Mes a perderci non sono gli altri, ma l’Italia.

Annarita Digiorgio

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