Dopo lunghe discussioni, litigi e drammi personali, tutti i partiti hanno finalizzato le liste dei candidati per le elezioni politiche che si terranno in settembre. E, specialmente, hanno assegnato ad alcuni di essi i seggi considerati (sulla base del comportamento passato degli elettori e dei sondaggi svolti nell’ultimo periodo) “sicuri”, anche se, come dimostra l’esperienza, con le elezioni non si sa mai. Ciò ha comportato, com’era prevedibile, in tutte le forze politiche polemiche e molte delusioni.

Ma quanto conta davvero il candidato nel seggio uninominale (ma spesso, anche nel listino proporzionale) nella decisione di voto dell’elettore? Naturalmente dipende dai singoli casi. In certe circostanze la mancata riconferma di personaggi noti nel territorio suscita diffusi malumori e proteste. Ma, in generale, si può dire che, probabilmente, nella scelta dell’elettore, il candidato locale riveste, in una buona parte dei casi, un ruolo non decisivo. Certo, ci sono delle eccezioni, in cui il radicamento locale appare più importante, com’è il caso, ad esempio, di Stefano Ceccanti a Pisa, grande esperto di diritto costituzionale e deputato molto attivo nella passata legislatura, che il Pd aveva pensato di “sacrificare” (poi ripensandoci in extremis) per far posto a Nicola Fratoianni, leader di un partito alleato e non sempre gradito.

Resta il fatto, tuttavia che ciò che muove l’elettore– e che sta alla base dell’opzione esercitata nell’urna – sono soprattutto la figura del leader e il partito cui ci si sente più vicini. Quest’ultimo, specie in elezioni divisive come quelle che si annunciano a settembre, che sono caratterizzate dalla agguerrita contrapposizione di due campi uno contro l’altro, rappresenta spesso l’identità di area, il baluardo che si sceglie per difendersi – e possibilmente battere – il “nemico”, sovente considerato un pericolo per le sorti del paese. Si sceglie dunque spesso di votare il partito per cui ci si ritiene comunque più rappresentati, al di là delle critiche che gli si rivolgono e, talvolta, “turandosi il naso”, come hanno affermato molti elettori delusi dalle candidature.

Poi conta, specie in queste elezioni, la figura del leader. La sua reputazione (come abbiamo cercato di sottolineare in un articolo pubblicato qualche giorno fa su questo giornale) e la sua capacità di comunicazione, il suo appeal personale. Su quest’ultimo aspetto rivestono grande importanza le apparizioni televisive, gli interventi sui social media e i confronti che, auspicabilmente, si terranno nelle prossime settimane. Non a caso, sui “format” dei confronti finali che si terranno subito prima del voto è già in corso la polemica.

Infine, ovviamente, rivestono un ruolo importante – ma meno di quanto spesso si pensi – anche i contenuti: i programmi e più ancora le promesse pronunciate dal leader, benché, in molti casi, esse siano (come accade per certi slogan lanciati in questi giorni) assolutamente irrealizzabili a meno di scardinare definitivamente i nostri già precari conti pubblici. La figura del candidato è dunque così irrilevante? Certamente no, ma, molto probabilmente, riveste un ruolo meno importante di quanto non facciano la figura del leader e il posizionamento politico del partito: l’elettore finisce col decidere soprattutto in base a questi due ultimi elementi.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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