Gli Stati Miti d’Europa
Il mite non è il mollaccione, ma il tenero, inteso anche come il maturo
Gli Stati Miti d’Europa: dai populismi alla generatività perché l’Unione Europea non è indorare la pillola
La nuova rubrica “Gli Stati Miti d’Europa” di Valerio Pellegrini, ricercatore romano che svolge attività di consulenza come Policy Officer per le policies europee
Questa rubrica si propone di essere un osservatorio giuridico-esistenziale sulle politiche europee al fine di avviare un dibattito culturale e politico. Troppo spesso, l’Unione Europea, è avvertita come qualcosa di lontano e di freddo che impone direttive e regolamenti che comprimono le libertà degli Stati membri e dei cittadini. Troppo spesso, l’Unione Europea, è vista come il luogo della burocrazia e dell’economicismo, la matrigna che fa rispettare i conti. Quel che qui ci si propone non è indorare la pillola, ma avviare una discussione sull’Europa che vogliamo.
L’Unione Europea, in fin dei conti, siamo noi e siamo e saremo noi a costruirla.
Credo sia necessario, per avviare un dibattito, partire dalle parole “Europa”, “comunità” e “unione”. Tre parole attraverso cui possiamo contemplare le origini del concetto di Europa, il suo sviluppo nel secondo dopoguerra e la situazione attuale.
Europa:
l’etimologia della parola Europa, si rinverrebbe nelle parole greche εὐρύς (eurus), “ampio” e ὤψ (ṓps), “occhio”, con significato di “ampio sguardo“. Secondo un’altra opinione deriverebbe dal termine semitico ereb, con il significato di occidente, con cui i fenici indicavano tutti i territori ad ovest della Siria. In ogni caso è d’obbligo il riferimento al mito della fanciulla sedotta da Zeus sotto spoglie di toro bianco e condotta a Creta.
Comunità:
come ben sappiamo, l’Unione Europea che oggi conosciamo, trova le sue origini nel trattato di Parigi del 18 aprile 1951 che istituiva la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Lo scopo era quello di mettere in comune le produzioni del carbone e dell’acciaio e ne facevano parte sei paesi: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. È interessante che la parola usata in questo trattato sia stata “comunità”, oggigiorno abusata e svuotata di significato. Sembra quindi necessario, anche in questo caso, fare riferimento all’etimologia. La parola deriverebbe dal latino cum-munus: il dono/responsabilità insieme. Munus difatti ha il duplice significato di dono e obbligo mentre cum significa assieme. La comunità è quel luogo in cui si scopre il proprio dono, che è già presente in ciascuno di noi. Solo cum-insieme e solo nella relazionalità lo si può donare o forse comprendiamo che è già donato agli altri: è appunto dono. Il munus latino, tuttavia, è anche un obbligo, una responsabilità, una capacità di saper rispondere, di dare una risposta al reale.
Unione:
con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio del 1992 si passa dalle Comunità Europee del Trattato di Roma (25 marzo 1957) all’Unione Europea, un salto non solo politico e giuridico, ma anche concettuale. Dalla parola comunità si passa alla parola unione che ci dice qualcosa di più e sembra imprimere una direzione. Infatti nella comunità non necessariamente c’è unione. Quest’ultima implica la volontà di mescolare le proprie identità non solo a livello economico, ma anche politico e culturale. Alcuni propongono l’idea gli Stati Uniti d’Europa. Siamo pronti come europei?
Nasce anche da questa domanda il titolo di questa rubrica: Stati Miti d’Europa, nelle intenzioni luogo sorgivo di dibattito, di analisi giuridico-esistenziale dell’attualità e di generatività. Il mite non è il mollaccione, ma il tenero, inteso anche come il maturo: un frutto è maturo quando è tenero. È colui che può dare e generare vita e portare altri frutti. Prima di giungere agli Stati Uniti d’Europa bisogna forse riscoprirsi Stati Miti d’Europa.
Essere mite è essere appassionato e generativo, non essere flaccido. Di fronte alla polarizzazione e alla violenza del dibattito politico, di fronte ai populismi che distorcono la realtà è forse necessario riconnettersi all’essenza dell’Europa attraverso le tre parole proposte. Europa, “dallo sguardo ampio”, è la straniera per antonomasia, è colei che viene cercata dai suoi fratelli perché scomparsa. È colei che trova rifugio su un’isola (non sul continente) che sarà culla della nostra civiltà, attratta non dalla violenza ma dalla sorprendente mansuetudine del toro bianco. La costruzione di questa comunità dipende da tutti noi a livello culturale, politico ed economico. Infine unione. Uniti forse non si è mai; un esempio è dato dagli Stati Uniti d’America, oggigiorno teatro di violenza, e divisione, sia sul piano politico, sia su quello culturale. “Uniti” è una tensione che forse nasconde come condizione necessaria la parola mitezza.
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