La desertificazione degli storici Studios di Via Tuscolana colpisce e non poco. Se ancora pochi mesi fa l’ex amministratore delegato Nicola Maccanico mostrava toni trionfali, da qualche settimana la situazione è radicalmente mutata: si scopre che gli studi non sono più affollati, e molte delle multinazionali straniere che venivano a girare in Italia guardano a mercati nazionali più “appealing”.

A metà luglio il Consiglio di amministrazione di via Tuscolana è stato cambiato per volontà dell’allora ministro Gennaro Sangiuliano: la presidente Chiara Sbarigia – già nominata dall’ex ministro Dario Franceschini – è stata confermata; invece Maccanico è stato incomprensibilmente sostituito (perché, se andava tutto a gonfie vele?) dalla produttrice Manuela Cacciamani, che ha venduto le quote della sua società One More Pictures e si è dimessa da presidente dell’Unione editori e creators digitali dell’Anica.

E così, con la dipartita di Maccanico, improvvisamente tutto l’entusiasmo (anche governativo) degli anni scorsi è divenuto evanescente, nonostante Cinecittà benefici ogni anno di una sovvenzione ministeriale di oltre 25 milioni di euro e anche di oltre 200 milioni di euro di fondi Pnrr per l’ampliamento degli Studios. Che sembrava fossero superaffollati a causa della spinta (artificiale) del “tax credit” ministeriale.

Da quando lo Stato ha staccato la spina, la “bolla” si è sgonfiata. Una gestione incontrollata del credito d’imposta ha determinato un buco di Bilancio del Mic di oltre 600 milioni di euro, nell’arco dei primi anni della Legge Franceschini, con la produzione “drogata” di centinaia di film che non hanno mai visto il buio di una sala cinematografica. E tra il 2023 e il 2024 buona parte del settore è stata congelata dall’assenza di decreti che consentissero al sostegno pubblico di funzionare a pieno ritmo. I primi a rendersi conto della crisi emergente sono stati i lavoratori: uno dei movimenti di protesta più attivi si è autodenominato non a caso #siamoaititolidicoda. Cinecittà è la cartina di tornasole di una crisi profonda e strisciante.

Le voci di privatizzazione

Intanto circolano voci di “privatizzazione” di Cinecittà e c’è chi sostiene che qualcuno al ministero della Cultura starebbe pensando a una cessione delle quote degli storici Studios. Con lo scenario di mercato attuale, quale soggetto privato potrebbe essere attratto? Si tratta peraltro di una società che ha già vissuto una stagione di maldestra privatizzazione, affidata all’ex presidente di Bnl Paribas Luigi Abete, tentativo avviato nel 1998 e miseramente fallito: nel 2018 è stato l’ex ministro Franceschini a dichiarare a chiare lettere che “la privatizzazione di Cinecittà non ha funzionato”.

A causa della controversa riforma del “tax credit” e del generale deficit di “evidence-based policy making”, il gioiello di Via Tuscolana corre il rischio di trasformarsi in una “cattedrale nel deserto”. Ancora una volta si assiste a una “politica culturale” approssimativa. Anzi, nasometrica. E si può passare, “cinematograficamente”, dalle stelle alle stalle.