Con una lettera del 31 marzo scorso, il presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Brian Mast, si è rivolto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite chiedendo che sia respinta la proposta di un nuovo mandato a Francesca Albanese, attuale “Special Rapporteur” all’Onu sui cosiddetti territori palestinesi occupati.
La lettera riassume le ragioni per cui quella signora non dovrebbe poter ulteriormente svolgere l’incarico che le era assegnato. Si tratta in realtà di un riassunto molto sommario. Qui ricorderemo, a nostra volta sunteggiando, quando Albanese disse che gli Stati Uniti e gli europei lasciano correre impunemente il genocidio dei palestinesi, i primi perché sono soggiogati da una lobby giudaica e gli altri perché sono gravati dal senso di colpa per la Shoah. Ricorderemo quando disse che la legittimità della “resistenza” non è revocata dalla commissione di “eventuali” atrocità, per esempio come quelle del 7 ottobre.
Ricorderemo quando disse che Israele non ha diritto di difendersi dagli attacchi provenienti da Gaza, perché si tratta di un territorio “occupato”. Ricorderemo quando disse che “gli ebrei” stanno facendo ai palestinesi ciò che i nazisti fecero agli ebrei. Ricorderemo quando era invitata a tenere conferenze sulla “moralità dell’Intifada”, coi suoi uffici che accettavano l’invito anziché respingerlo e negoziavano l’entità del corrispettivo da girare allo staff. Ricorderemo la sua partecipazione a manifestazioni bardate di bandiere palestinesi e di cartelli inneggianti al boicottaggio di Israele. E via di questo passo.
Il problema (lo scandalo) della militanza di Francesca Albanese non riguarda le idee – legittime per quanto atroci – che questa signora ha tutto il diritto di coltivare. Riguarda, invece, il fatto che una consulente dell’Onu, quale ella è e ambisce a essere ancora, si abbandoni a un’inesausta propalazione di simili convincimenti e che lo faccia, appunto, abusando del suo ruolo istituzionale di “Special Rapporteur”. Un ruolo che dovrebbe essere svolto, per statuto, con imparzialità, discrezione, obiettività, moderazione, dimostrazione di indipendenza, equilibrio di giudizio e assenza di pregiudizio politico-ideologico. Tutte cose che questa signora si è allegramente messa sotto i tacchi, meritando dunque di essere trattata per l’attivista che è anziché per l’“esperta” indipendente che pretende di essere.