Governo contro Regioni, come il bue che dà cornuto all’asino

Il ministro Provenzano che ieri, in un’intervista al Mattino, si è dichiarato scettico sulla convocazione degli Stati generali (“ne stiamo ancora parlando…”), è tra quelli che auspicano un radicale superamento del regionalismo (“ha rallentato la crescita del Paese”). E ciò in nome di un “rafforzamento“ dello Stato (“va centrato rispetto alla debolezza storica delle istituzioni”) presentato come atto salvifico e risolutivo. Prima di Provenzano, anche il vice segretario del Pd, Orlando, aveva detto cose del genere, a conferma di una evidente sofferenza, a sinistra, per l’attuale stato delle cose, ciò per il titolo V della Costituzione che disciplina i rapporti tra centro e periferia dello Stato. Ma possono un ministro e un sostenitore di questo governo, che per primi sentono puzza di bruciato quando Conte convoca task force e Stati generali pur di rinviare le decisioni urgenti; possono, proprio loro, fare la lezione alle Regioni? A quali Regioni, poi? Certo, c’è la Lombardia che merita un discorso a parte.

Ma la critica – per come è stata posta – vale anche per l’Emilia-Romagna retta da Bonaccini. E non salva la Campania di De Luca e la Puglia di Emiliano, dove tra l’altro la sinistra ricandida i governatori uscenti, dunque dando un giudizio positivo sul loro operato. Si ammetterà che i conti non tornano. Del resto, c’è una contraddizione evidente nel dire che c’è stato un problema nella gestione dell’emergenza sanitaria e nel non poter escludere che se da questa emergenza siamo comunque usciti è anche grazie a ciò che hanno fatto in periferia i governatori. Detto questo, sorprende che a ministri e Pd non sia arrivata l’eco di ciò che le Regioni pensano dell’operato del governo centrale. Ieri, tanto per fare qualche esempio, l’edizione locale di Repubblica ha intervistato il governatore dell’Emilia Romagna. Ed ecco il titolo: “Bonacini sfida Conte: il governo si muova“. Quindi: “Subito liquidità, accesso al credito e piano di investimenti straordinario: o sarà lockdown economico“.

L’insoddisfazione è reciproca, come si vede. Se non bastasse questo, poi, c’è sempre da mettere nel conto ciò che De Luca va dicendo ormai da settimane, e cioè che al governo ci sono ministri “ladri“ e “scippatori“ i quali sottraggono consapevolmente risorse alla Campania. Insomma, chi boccia chi? Il problema è che quando si sollevano questioni generiche, come l’assetto regionalistico, o si indicano obiettivi troppo lontani nel tempo, come il ponte sullo Stretto che ieri non è stato escluso in prospettiva anche da Provenzano, di solito lo si fa per una ragione ben precisa: per costituire un calendario assolutamente non verificabile della propria attività. Questo è di sicuro il caso del governo Conte. Infine, c’è un altro aspetto che va sottolineato. Cosa vuol dire rafforzare lo Stato?

Forte, tanto per dire, è lo Stato che ha deciso di nominare un commissario per la rigenerazione urbana di Bagnoli e di affiancargli, come braccio operativo, il numero uno di Invitalia. Quando ciò è stato ribadito, a soffiare nelle trombe c’era proprio il ministro Provenzano (“qui ci giochiamo la credibilità istituzionale”). Da allora, è forse cambiato qualcosa nella trentennale noiosa e inconcludente storia dell’ex Italsider? Se sì, nessuno se n’è accorto. Il ministro Provenzano dice no alle Regioni e sì al ponte sullo Stretto. Spero solo che, in nome di uno Stato “rafforzato”, non voglia chiedere ad Arcuri di sostituirsi alle prime e, contemporaneamente, di realizzare il secondo. Allora sì che l’Italia intera farebbe la fine di Bagnoli: immota, pietrificata, sebbene commissariata e statalizzata.