E adesso sarà a tutti più chiaro perché Giorgia Meloni ha fatto di tutto pur di non avere Licia Ronzulli nella squadra di governo, né ministro né sottosegretario. Non solo: si è messa contro per la vicepresidenza di un comitato strategico qual è il Copasir. La Ronzulli ha la lucidità per riconoscere tempi e modi per dare segnali e marcare preziose differenze in quel territorio magmatico che sono le coalizioni politiche.

Così ieri all’apertura dei lavori in aula – all’ordine del giorno la votazione del contrastato decreto rave party – la capogruppo di Forza Italia ha chiesto la parola e ha affondato il colpo. «Parlo a titolo personale – ha premesso –per spiegare che non voterò questo decreto perché contiene (art.7, ndr) la norma che reintegra in servizio i medici no vax, una decisione che va contro le mie scelte politiche, le mie battaglie e la mia storia». Il decreto rave, ha detto, «è condivisibile sotto tanti punti di vista». Ma poiché «siamo stati noi di Forza Italia ad aver voluto l’obbligatorietà dei vaccini per i medici»; poiché «ho combattuto in prima fila questa battaglia che mi è costata incomprensioni e attacchi anche violenti»; poiché il reintegro di personale sanitario non vaccinato potrebbe diventare “un pericoloso precedente” perché di fatto «stiamo dicendo che i sanitari si sarebbero potuti anche non vaccinare»; ecco, per tutti questi motivi, «per un discorso di coerenza e credibilità io non parteciperò al voto sull’articolo 7 né sull’intero provvedimento».

Applausi in aula, dalla parte di Pd, Sinistra, 5 Stelle e Terzo Polo. Gelo tra i banchi di Lega e Fratelli d’Italia. Ebbene sì: dopo appena cinquanta giorni di governo la maggioranza deve registrare una pericolosa ferita. Su un voto reale. Per quanto Ronzulli espliciti di «non strumentalizzare una scelta che è frutto solo di un personalissimo travaglio personale (ma la linea di Forza Italia durante la pandemia è stata molto netta a favore dei vaccini, ndr)» e per quanto aggiunga che “non esiste alcuna contrapposizione al governo” e “nessuna spaccatura”, è impossibile non inquadrare questo – in apparenza – minimo fatto di cronaca parlamentare in un segnale di forte disagio all’interno della maggioranza. Il decreto rave party, del resto, era nato male e rischia di finire ancora peggio. Diciotto organizzazioni della società civile si appellano al Parlamento perché non converta in legge le norme anti rave che «criminalizzano e stigmatizzano i giovani e le loro espressioni culturali». Lo stesso ministro della Giustizia Nordio ha sempre preferito tacere sul punto. Il decreto fu approvato pochi giorni dopo il giuramento, insieme con la circolare contro l’ingresso delle navi ong nei porti italiani, una infelice doppietta.

Un decreto che inseriva un nuovo reato in una forma molto ambigua e così poco circoscritta da risultare liberticida nei confronti di qualunque assembramento non autorizzato. Con una pena da sei ai 10 anni che è sembrata subito troppo severa. Nordio è poi intervenuto con un emendamento che ha corretto il testo e specificato il reato. Ma quel decreto viene meno anche al principio costituzionale dell’urgenza e della omogeneità. Infatti sono state infi late lì dentro alcune norme che non c’entrano nulla come il reintegro in servizio dei medici no vax e – emendamento della Lega – l’annullamento delle sanzioni previste per i suddetti medici no vax. In pratica un colpo di spugna, l’unico fattibile in questo momento, a tutta l’impostazione del governo Draghi ai tempi della pandemia. Troppo per un partito come Forza Italia che invece ha sempre sostenuto, in modo consapevole e responsabile, le restrizioni ai tempi del Covid. E uno, ha ragionato Ronzulli, non può rimangiarsi tutto dopo tre mesi.

Il titolare della Sanità, il ministro Schillaci, non è pervenuto in questa discussione. Appena arrivato, anche lui un po’ come Nordio, ha seguito il vento di quella seppur piccola maggioranza no vax cui Fratelli d’Italia ha strizzato l’occhio più per calcolo politico che per convinzione. Mentre Salvini, in maggioranza, era costretto a tirare un colpo al cerchio e una alla botte. La senatrice Ronzulli ieri ha parlato durante la discussione generale del testo. Il voto è previsto oggi in serata. Difficile capire cosa farà il gruppo di Forza Italia, se lascerà sola la capogruppo o se qualcun altro sarà colto dallo stesso turbamento. Di sicuro questo voto contrario, al di là del travaglio personale, va inquadrato nel clima della legge di bilancio. Che è diventata un assaggio di campagna elettorale in vista delle regionali di febbraio (Lombardia e Lazio) e aprile (Friuli Venezia Giulia). E il modo per pesare i vari partiti della coalizione che sembra totalmente in mano a Meloni. Il pranzo natalizio ad Arcore per il tradizionale scambio di auguri è stato in realtà il laboratorio dove il Cavaliere ha affilato la lama.

Forza Italia sta perdendo consensi, la Lega è stazionaria e non recupera. Entrambi i soci di minoranza di Meloni rischiano l’umiliazione politica alla regionali. L’ultima e unica possibilità di invertire la tendenza è riuscire a fi rmare in modo chiaro e netto alcune misure della legge di bilancio. Alzare le pensioni minime e decontribuzione totale per gli under 36 sono i cavalli di battaglia di Berlusconi. Contanti e pace fiscale le misure identitarie di Salvini. Nel pranzo domenicale ad Arcore, presente solo la quadra di governo e i capigruppo, oltre agli emendamenti “irrinunciabili, costi quel che costi”, è stata concordata anche la mossa di ieri. Giorgia Meloni è avvisata.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.