Furiosa per le ennesime parole filoputiniane emerse da un nuovo audio rubato, Giorgia Meloni dà l’ultimatum al Cavaliere. «Su una cosa sono stata, sono, e sarò sempre chiara. Intendo guidare un governo – è la nota della leader di FdI – con una linea di politica estera chiara e inequivocabile». Poi l’affondo, netto e definitivo contro l’alleato sempre più ingombrante.

«L’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo». Che cosa succederà adesso è difficile dirlo. L’accordo, anche con il Quirinale, è di andare avanti e fare presto. Il timing è serrato. Iniziare oggi le consultazioni per la formazione del nuovo governo e concluderle domani. Già venerdì sera Giorgia Meloni potrebbe essere il premier incaricato e sabato in tarda mattinata tornare dal capo dello Stato con la lista dei ministri. Giuramento sabato pomeriggio o domenica.

Ma c’è la variabile B
Tutto questo al netto della variabile Berlusconi. Che sembra una variabile sempre più impazzita. O fuori controllo. Fino a metà pomeriggio la situazione è sembrata congelata. O meglio: un’imbarazzata indifferenza rispetto alle esternazioni di Silvio Berlusconi rilasciate mercoledì nel “privato” dell’incontro con i deputati e derubricate, gioco forza, a “frasi inopportune e sbagliate ma non qualificanti della linea in politica estera del governo Meloni, atlantista e anti Putin senza ambiguità”.

Fino a quel momento, prima di esplodere in serata, Giorgia Meloni si è morsa la lingua e si è imposta il silenzio coltivando, diciamo così, “l’umana pietà e comprensione”. “Abbiamo a che fare con un anziano leader che ha perso la sua centralità e fa di tutto per tentare di mostrarsi ancora il padrone di casa di una coalizione che invece ha cambiato leader perché così hanno deciso gli elettori” è il ragionamento condiviso in queste ore nel quartier generale di Fratelli d’Italia al sesto piano del palazzo dei gruppi alla Camera.

Un altro file galeotto
Ma alle 17 l’agenzia La Presse, che già aveva rilasciato il file audio galeotto del giorno prima, ha fatto il bis. E ha pubblicato un altro audio, altre frasi dette sempre dal Cavaliere nella riunione di mercoledì con i deputati. Dopo essersi raccomandato della riservatezza (“mi raccomando eh”), il presidente di Forza Italia ha espresso alcun giudizi assai pesanti su Zalensky. «Non vedo proprio come quei due, Putin e Zelesnky, possano mettersi seduti allo stesso tavolo…». La guerra in Ucraina, nel racconto di Berlusconi, avrebbe un’origine ben diversa rispetto alla narrazione corrente e che merita di essere riportata per intero.

«Guardate – ha detto il Cavaliere -le cose sono andate così. Nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo di pace e non belligeranza tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche che subiscono vittime tra i militari e civili che arrivano, mi si dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche. Disperate, le due repubbliche mandano una delegazione a Mosca e finalmente riescono a parlare con Putin. Dicono: ‘Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu’. Lui è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia.  E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo in carica e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un’altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è invece trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall’Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni. Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina». È il più scontato racconto sentito in questi mesi dai filoputinani.

Tajani vola a Bruxelles
A quell’ora Camera e Senato stanno concludendo l’elezione degli uffici di presidenza, cosa che agita le opposizioni che non trovano l’accordo, Pd e M5s blindano le vicepresidenze e lasciano il Terzo Polo senza neppure uno dei quattro posti disponibili. Le parole di Berlusconi rimbalzano subito a Bruxelles alla vigilia del Consiglio europeo decisivo per il dossier energia e prezzo del gas. È l’ultimo Consiglio di Mario Draghi che oggi dovrà provare a dare qualche spiegazione ai suoi colleghi. Non sarà facile.

«No comment su Berlusconi, la posizione della Ue è chiara» dice Charles Michel, il presidente del Consiglio Ue. Oggi a Bruxelles arriva anche Antonio Tajani per prendere parte al vertice del Ppe. E, a sua volta, per tranquillizzare. Difatti il candidato ministro degli Esteri, si precipita a smentire la linea del suo leader. “Domani – twitta – sarò al Summit del Ppe per confermare la posizione europeista, filo atlantica e di pieno sostegno all’Ucraina mia e di Forza Italia. In tutte le sedi istituzionali non è mai mancato il nostro voto a favore della libertà e contro l’invasione russa”.

Meloni lo vorrebbe indicare come ministro degli Esteri e vicepremier (insieme a Salvini). Ma la situazione rischia di andare fuori controllo. Nonostante le smentite – delle parole di Berlusconi – e le conferme della linea in politica estera e sull’Ucraina, che affidabilità può dare il numero due di Forza Italia alla Farnesina se il numero 1 dà ragione a Putin e torto a Zelensky con tale enfasi e simili dettagli chiaramente suggeriti dalla viva voce di Putin con cui meno di tre settimane fa si sono scambiate bottiglie di vino e lettere dolcissime? Le opposizioni, che avrebbero ben altro di che preoccuparsi, vanno a nozze. Letta per primo: “Il governo nasce con la peggiore ambiguità”.

“Tacere, andare avanti, curare il dossier Forza Italia”
Ufficialmente Giorgia Meloni tace. “Andare avanti senza colpo ferire, si tratta di episodi di disturbo da parte di un anziano leader che non accetta di diventare il numero 2, anzi è già il numero 3”, è il messaggio veicolato dal quartier generale di Fratelli d’Italia dove la quasi-premier passa la maggior parte della sue giornate. Da qualche giorno ha anche trovato il modo di raggiungere l’auto personale direttamente nel cortile senza incontrare il muro di telecamere.

Dunque oggi il centrodestra salirà unito al Quirinale. Sul tavolo della presidente di Fratelli d’Italia da 48 ore però c’è un dossier in più. Sopra c’è scritto “Forza Italia”. Meloni non ha timore di chiamare le cose col proprio nome. Il rischio è infatti avere un esecutivo che nasce azzoppato. L’elezione di La Russa, diventato presidente del Senato con i voti segreti delle opposizioni (circa venti), ne è stata la dimostrazione plastica. E da giovedì scorso la situazione nella coalizione è molto peggiorata. Meloni non ha ceduto alle richieste del Cavaliere, ha detto no a Ronzulli nella squadra di governo (la considera una nemica, una che “passerebbe le giornate a segare le gambe all’azione dell’esecutivo”).

Ha detto No a Casellati alla Giustizia (ieri Berlusconi ha incontrato Nordio, il candidato di Meloni, e tra i due pare sia anche scattato un buon feeling). Ha detto No anche ad Alessandro Cattaneo, considerato l’alter ego di Ronzulli. Per tutta risposta Ronzulli e Cattaneo sono diventati capogruppo. Il messaggio è chiaro: tu, Giorgia, non vuoi i miei uomini al governo? E io ti faccio la guerra in Parlamento.

Una squadra azzoppata. A rischio crisi di governo
Il governo partirà ma con un handicap chiamato Forza Italia che però è anche la garanzia liberal, almeno a livello europeo, contro la deriva sovranista e nazionalista e contro i diritti acquisiti (già depositati ddl contro l’aborto) delle destre italiane. Basta che al Senato 5 senatori azzurri lascino il gruppo e la maggioranza non c’è più. Il rischio forte è che con queste tensioni qualcuno, più d’uno, se ne vada nel Terzo Polo di Calenda e Renzi. E che magari lo faccia già in queste ore, prima del voto di fiducia che potrebbe arrivare martedì. A quel punto sarebbe già crisi di governo. Ancora prima di iniziare.

Scenario infausto che magari, al Cavaliere ferito e azzoppato, potrebbe anche non dispiacere. Non è un caso se un ufficiale di primo piano come Francesco Lollobrigida già parla di “nessuna paura di tornare al voto”. E se un altro ufficiale, questa volta di Berlusconi, come Gianfranco Miccichè ha ventilato l’ipotesi dell’appoggio esterno. “Ma poi – si chiede un big di Fratelli d’Italiasiamo sicuri che la consegna dei file audio ai giornalisti non sia una strategia mirata proprio a far saltare tutto?”. Meloni sta stringendo accordi con i centristi della coalizione (Noi Moderati, Lupi infatti avrà un ministero) per convincerli a fare gruppo a parte e diventare il naturale approdo di chi volesse lasciare Forza Italia. Questa volta perché in polemica proprio col Cavaliere. Oggi alle 10 iniziano le consultazioni al Quirinale. Sotto i peggiori auspici.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.