"Da Starmer una lezione per i riformisti italiani"
Gozi: “Veti e personalismi impediscono polo moderato. Fitto? Von der Leyen spieghi l’apertura a chi ha votato contro di lei”
L’eurodeputato di Renew ammonisce i centristi: “Grande occasione persa alle elezioni europee”. E punta su una nuova cooperazione con il Regno Unito: “Ma la Brexit non si rimette in discussione”
Per Sandro Gozi la sfida è il rilancio delle relazioni tra Ue e Uk. L’eurodeputato di Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo – eletto presidente della Delegazione all’Assemblea parlamentare per il partenariato tra l’Unione europea e il Regno Unito – ritiene che ci sia spazio «per stabilire nuove forme di cooperazione» e che si debba imparare la lezione arrivata dal successo del Labour: «Le elezioni si vincono al centro».
A Bruxelles è da poco iniziata la decima legislatura, a Londra c’è un nuovo governo. Come cambiano le relazioni tra Ue e Regno Unito?
«Dobbiamo cogliere l’opportunità di rilanciare le relazioni tra Ue e Regno Unito, attraverso l’idea di partenariato più costruttivo. La mia missione è di favorire un dialogo più pragmatico, volto alla fiducia reciproca, applicando l’accordo di commercio e cooperazione e lavorando insieme su nuove priorità come la sicurezza, l’IA o le opportunità di studio per i nostri giovani».
Starmer parla di «reset» dopo la Brexit. È davvero possibile?
«Con un nuovo governo britannico che punta a riforme pragmatiche, c’è spazio per stabilire nuove forme di cooperazione. Non si tratta di rimettere in discussione la Brexit. Dobbiamo essere realistici e concentrarci su ciò che ci unisce, soprattutto in aree strategiche come la Difesa e la sfida del clima. Ma sta a loro spiegare cosa intendano esattamente per “reset”».
L’euroscetticismo dilaga e ignorare le cause che hanno spinto gli elettori a sostenere il referendum sarebbe un errore imperdonabile. Qual è la soluzione per evitare che il vento travolga altri paesi?
«L’euroscetticismo è il risultato di disuguaglianze e insicurezze rispetto al futuro. C’è una forte domanda di ripresa del controllo che viene rivolta alla politica. I britannici hanno scelto la via nazionale che non sembra aver dato grandi risultati. L’immigrazione, ad esempio, è aumentata dall’uscita di Londra dalla Ue. Noi dobbiamo fare di più insieme come europei, penso ad esempio alle sfide dell’innovazione, dell’inclusione e dell’immigrazione. Dobbiamo dotare anche l’Europa di quella potenza e capacità di agire, superando i veti nazionali».
Il Labour ha vinto mettendo al centro il riformismo e il pragmatismo, allontanandosi dall’ala radicale e massimalista di sinistra. Una lezione per i centristi italiani?
«Assolutamente sì. La vittoria del Labour dimostra che pragmatismo e riformismo pagano e ha confermato che le elezioni si vincono al centro. La stessa cosa sta facendo Kamala Harris che noi sosteniamo con forza. In Italia i centristi hanno perso una grande occasione alle europee a causa degli assurdi veti. Ogni volta che in Parlamento noi di Renew prendiamo la parola per quinti o vediamo il Ppe fare accordi con l’estrema destra, dedichiamo un pensiero al disastro provocato da Azione. Quei 4, 5 o 6 deputati italiani avrebbero fatto la differenza per noi».
In effetti in Italia dominano veti e personalismi. Un unico polo moderato e liberaldemocratico non si riesce proprio a costruire…
«Purtroppo è vero. La politica italiana è spesso prigioniera di veti incrociati e personalismi che impediscono la costruzione di un progetto comune. Credo fermamente nella necessità di un polo moderato, riformatore, liberale e democratico, che esista in maniera autonoma. Il successo di Renew a livello europeo dimostra che c’è spazio per una politica dell’innovazione e anche del buon senso, che è troppo spesso mancata a Roma».
Sulla crisi di Macron in Francia cosa ci dice?
«La situazione di Macron riflette le difficoltà che tutti i riformatori affrontano in Europa. Le forze populiste ed estremiste crescono cavalcando paure e malcontento. Macron ha mostrato grande coraggio e determinazione nell’affrontare temi difficili che altri hanno evitato per decenni, a partire dalla riforma delle pensioni e dal lancio dell’innovazione simboleggiata dal successo della French Tech e degli investimenti esteri in Francia. Dobbiamo riconoscere il valore della leadership responsabile che cerca di costruire un futuro migliore, anche a costo di decisioni impopolari nel breve termine».
Tornando a Bruxelles, la convince la nomina di Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione Ue?
«Quanta confusione su questa vicenda! Stimo molto Fitto, la scelta migliore che Meloni potesse fare. Non verrà valutato rispetto alla sua nazionalità, ma per la sua indipendenza, imparzialità, le sue competenze e la capacità di promuovere l’interesse generale. E rispetto al suo impegno a portare avanti il nuovo programma di von der Leyen, come ad esempio il rafforzamento del nuovo principio per cui tutti i fondi Ue sono condizionati al rispetto dello stato di diritto, posizione da sempre avversata da Ecr e FdI. Von der leyen, invece, non ha ancora chiarito perché intenda attribuire una delle vicepresidenze all’Ecr, che non è in maggioranza e che ha votato contro di lei».
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