Nella notte tra venerdì e sabato scorso, il presidente Joe Biden ha finalmente tirato un sospiro di sollievo. Buone notizie fin dalla mattina quando i dati ufficiali hanno confermato un recupero sul fronte dell’occupazione con la creazione di 531 mila nuovi posti di lavoro a ottobre. Buone notizie sul fronte sanitario: la pillola di Pfizer che pare altamente efficace contro il coronavirus sta per essere approvata, i vaccini per i bambini di età compresa tra 5 e 11 anni autorizzati, il 70% degli adulti statunitensi completamente vaccinati. Ma, soprattutto, nella notte di venerdì Biden ha ottenuto la sua più grande vittoria a Capitol Hill, con l’approvazione da parte della Camera del pacchetto di investimenti sulle infrastrutture, dopo mesi in cui era stato bloccato dalle diatribe, interne al suo stesso partito, tra i centristi che rifiutavano gli eccessi di spesa pubblica e i radicali disposti a votare le misure solo se in ticket con quelle sociali.

Per quanto dimezzato rispetto alle promesse iniziali (da più di 2 a 1 trilione di dollari) lo stanziamento per rifare l’America è enorme: servirà per riparare le strade dissestate del paese, per ristrutturare aeroporti obsoleti, ponti fatiscenti e ferrovie antiquate, per portare la banda larga nelle zone rurali e aumentare la diffusione dei veicoli elettrici. Nella visione di Biden, questa enorme iniziativa di ristrutturazione del paese non servirà solo a far ripartire l’economia, ma anche a raccogliere la sfida della Cina, assicurando la primazia dell’America nel mondo.

L’approvazione delle misure infrastrutturali è cruciale anche sul piano della politica interna. Negli ultimi mesi, infatti, la popolarità di Biden è in caduta libera e, secondo tutti gli osservatori, la spia di questo disagio è stata la rovinosa sconfitta dei democratici in Virginia, stato tradizionalmente blu dove dieci giorni fa il repubblicano Glenn Youngkin, sovvertendo il pronostico, ha vinto la corsa per diventare governatore. Secondo il senatore della Virginia Mark Warner, se il disegno di legge sulle infrastrutture fosse diventato legge prima, il democratico Terry McAuliffe, poi sconfitto da Youngkin, avrebbe avuto qualche chance di vittoria.

Anche se in ritardo, Biden ha comunque conseguito un risultato storico che gli ex presidenti Barack Obama e Donald Trump non erano mai riusciti a ottenere nonostante le ripetute promesse.

Ma a quale prezzo è stato raggiunto l’obiettivo? E, soprattutto, basterà per far risalire nei sondaggi la popolarità di Biden? Il presidente è atteso adesso al varco della riforma del welfare. Riforma che l’ala sinistra del suo partito considera fondamentale, ma che i repubblicani osteggiano, temendo l’aumento delle imposizioni fiscali. Il pacchetto per il welfare da 2 trilioni di dollari (per il quale non è ancora avviato l’iter al Congresso) prevede diverse misure: l’espansione dei  benefici di Medicare (copertura degli apparecchi acustici, riduzione del prezzo dell’insulina e di altri farmaci per gli anziani), l’istituzione dell’asilo nido universale e gratuito, investimenti miliardari per l’assistenza all’infanzia e per combattere il cambiamento climatico, una serie di benefici fiscali per aiutare le famiglie con bambini. Il tutto sarebbe finanziato da nuove tasse sui milionari e sulle società. Il percorso parlamentare di queste misure è tutto da scrivere. Per l’approvazione del pacchetto infrastrutture, Biden è riuscito a convincere prima 19 repubblicani al Senato e poi 13 alla Camera (qui con l’auto della speaker Nancy Pelosi). Ma ha perso per strada ben sei deputati dem più radicali (la cosiddetta Squad capitanata dalla newyorchese Alexandria Ocasio-Cortez) che adesso mirano alla vittoria piena sul pacchetto welfare. I più positivi con Biden sottolineano la sua capacità di districarsi a Capitol Hill con un approccio bipartisan. Ma per la sinistra interna il compromesso con il Gop è fumo negli occhi. E sulle misure sociali (e le tasse ai ricchi) prepara le barricate.

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