Sprizza soddisfazione, immaginiamo, il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, alla notizia di questi due arrivi così prestigiosi e importanti proprio nella sua terra, a casa sua quasi, con la veste di rappresentanti del popolo in Parlamento. Roberto Scarpinato nella camera alta, il Senato della repubblica, e Federico Cafiero de Raho alla Camera. Tutti e due candidati come capolista dal Movimento cinque stelle in Calabria, tutti e due sicuramente eletti visto che, come si conviene per personaggi di peso, i due ex alti magistrati hanno anche il loro sacrosanto paracadute, uno nell’Emilia rossa, l’altro nella Sicilia dal cui Palazzo di giustizia e dal ruolo di procuratore della corte d’appello è da poco uscito.

Immaginiamo il povero Gratteri solitario nel suo ufficio a domandarsi “dove ho sbagliato? Perché loro sì e io no?”. Con la magra consolazione che tra sei anni, quando anche lui avrà compiuto i settanta e sarà maturo per la pensione, potrà percorrere la via della politica. Ammesso che la cosa gli interessi. Certo, fare il ministro di Giustizia sarebbe stato ben altro, cari Federico e Roberto! E poi, diciamo la verità, come storia, intelligenza e preparazione, quel Matteo Renzi che l’avrebbe voluto nel suo governo come Guardasigilli nel 2014, quando Gratteri era un semplice aggiunto di quel procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho che si accinge a tornare in Calabria da deputato, ne vale mille rispetto all’avvocato del popolo Giuseppe Conte. Questo lo pensano in tanti.

Anche se, e pure questo lo pensano in tanti, il Renzi di allora era presidente del Consiglio e leader di un partito che alle europee aveva raggiunto oltre undici milioni di voti, con due milioni di gradimenti in più rispetto al passato, proprio nelle stesse consultazioni in cui il movimento di Grillo ne aveva persi tre milioni. E altro conto è essere capo di un partitino costretto a mettersi con l’odiato leader di un altro piccolino per raggiungere il quorum alle elezioni. Resta il fatto che oggi la candidatura per Nicola Gratteri non c’è. Ed è difficile che, qualora il procuratore avesse rifiutato un’offerta, non lo si sarebbe saputo. Non dalla sua bocca, ne conosciamo la proverbiale riservatezza. Ma dai numerosi ambienti dei suoi laudatores, soprattutto nel mondo dell’informazione, qualche spiffero sarebbe uscito. E magari qualcuno dei vari comitati che periodicamente organizzano manifestazioni, pur con scarso successo di presenze numeriche, da Milano a Catanzaro, avrebbe potuto cogliere l’occasione per esibire in positivo il suo gran rifiuto.

Che poi vorrebbe anche dire rispetto della divisione tra i poteri, cioè quella specie di araba fenice di cui non ci si ricorda neppure l’esistenza. Basterebbe contare il numero di toghe che si annidano nei vari ministeri, dove contribuiscono all’attività dell’esecutivo come a quella del potere legislativo. Ma il problema è che questi alti magistrati, e Nicola Gratteri certo non si sottrarrebbe a una orgogliosa declaratoria in questo stile, non appena annusano il profumo di un nuovo potere, si sentono in dovere di chiarire che entrano in Parlamento con la toga addosso, per continuare il lavoro iniziato. Quindi facevano politica anche prima? La domanda non è così strana, anche se sarebbe respinta con sdegno, qualora qualcuno osasse porla.

Poi ci sono le questioni di carattere. Gratteri pare sempre un cavallo imbizzarrito e indomabile. E ora si ritrova anche con la carriera un po’ bruciacchiata, perché gli ritorna in patria quel Cafiero de Raho che fu il suo capo a Reggio Calabria tra il 2013 e il 2016, quando lui era l’aggiunto e l’altro il suo dirigente. E oltre a tutto senza neanche aver avuto la soddisfazione di succedergli alla Direzione Nazionale antimafia, dopo il suo pensionamento. Luogo di mille desideri, quello, infatti era andata frustrata anche l’ambizione dell’altro candidato in Calabria, Roberto Scarpinato che, nel 2017 era stato costretto a ritirare la propria candidatura un attimo prima che il plenum del Csm votasse all’unanimità proprio Cafiero de Raho.

Oggi i due candidati piombano come falchi, con i loro vestiti da parlamentari, laddove il procuratore di Catanzaro ritiene di essere il detentore incontrastato del potere di combattere la ‘ndrangheta, in pratica l’ultima forma di mafia esistente. E le dichiarazioni dei due candidati non promettono niente di buono. Sono destinati ambedue all’opposizione, lontani dal potere del governo e sulla sponda opposta di un possibile ministro di Giustizia come Carlo Nordio. Ma come parlamentari il naso in quel di Calabria potrebbero andarlo a mettere. Più morbido l’approccio del futuro deputato Cafiero de Raho, che ha già scoperto la propria anima militante del movimento di Grillo, pronto persino a rinnegare le proprie dichiarazioni favorevoli ai termovalorizzatori.

Ma altrettanto pronto a scattare sull’attenti nel dichiarare a Repubblica di voler, anche da deputato “continuare a battere criminalità e corruzione”. Strano che ignori come quello non sia compito del Parlamento, così come non lo è della magistratura. Più aggressivo Scarpinato, che non riesce ad abbandonare quel processo clamorosamente perso in quel di Palermo. E all’edizione di Repubblica di quella città spiega “Mi candido contro il ritorno dei patti tra Stato e mafia”. Tempi duri, caro Nicola Gratteri. In fondo lei è il più simpatico.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.