Cambio di strategia nel giorno della pensione del "nemico" Lupacchini
Gratteri rinuncia a Milano e punta alla Procura nazionale del post Cafiero De Raho

Da oggi il magistrato Otello Lupacchini lascia la toga. Ieri ha compiuto 70 anni e non si è certo aggrappato alla poltroncina come il suo ex collega Piercamillo Davigo né si è acquattato, come altri fanno ogni giorno, in anfratti in compagnia di colleghi del Csm per promuovere la propria carriera. Il suo curus honorum è brillante e merita rispetto e ammirazione. Anche se l’aver incontrato sul suo cammino l’astuto Nicola Gratteri, che ha saputo ben giocare la favoletta del lupo e l’agnello, e ha accusato il suo superiore di avergli intorbidato l’acqua, gli ha segnato una immeritata cesura di carriera.
Sicuramente nutriva ambizioni diverse da quelle di Gratteri. E forse non gli sarebbe interessato un ruolo come quello cui ambisce in questo momento il procuratore di Catanzaro, cioè quello di diventare il capo assoluto di tutte le “antimafie”. Ma sicuramente ne aveva i titoli. Fatto sta che nel fardello di una carriera senza macchia, rimane quella piccola ombra del suo trasferimento a Torino, mentre l’altro, che nel frattempo inanellava un flop dopo l’altro delle sue “brillanti e definitive” inchieste che ogni volta avrebbero sconfitto una cosca, riusciva a tirargli il calcio dell’asino e a restare imperterrito al proprio posto.
La differenza tra i due è che mentre Lupacchini, lasciata la toga, con la sua cultura e le sue capacità, è in grado -poiché a 70 si è “anziani attivi”- di dedicarsi a qualunque altra attività, l’altro è costretto a rosicchiare, passettin passettino, i gradini che lo portino a quello che gli appare come l’empireo. Cioè, per colui che ha sempre coltivato il sogno di passare alla storia come il “nuovo Falcone”, la Procura Nazionale Antimafia. Il luogo del massimo prestigio, anche se un po’ da taglianastri. Ma lui punta alto, e avendo forse capito che gli conveniva togliere qualche castagna dal fuoco al Csm e magari trattare lo scambio, ha ritirato la candidatura alla procura di Milano, che pure era stata da lui ampiamente annunciata e strombazzata. Sarà anche vero che il ragazzo non è legato alle correnti, ma è ben capace di frequentare corridoi (oltre che bar) e di trattare con le toghe del Csm, se gli serve. Lo ha già dimostrato quando si trattava di far fuori il rivale Otello Lupacchini. E potrebbe averlo rifatto.
Era forse il candidato più accreditato per prendere il posto di Francesco Greco a Milano. Intanto perché Nicola Gratteri sarebbe stato un vero “papa straniero”, in quanto calabrese, con una autentica cesura rispetto all’eterna litania delle discendenze lombarde in procura. Poi non è di Magistratura Democratica, e anche questa sarebbe una bella novità per l’ufficio in fondo al corridoio del quarto piano del palazzaccio milanese. Poi porta in testa la corona del reuccio, il “campagnolo ignorante” (come lui stesso si definisce) che si è fatto da sé, perché l’operaio vuole il figlio dottore, come recita “Contessa” (che è una canzone sessantottina di Paolo Pietrangeli), e ha conquistato la toga, e lotta ogni giorno a rappresentare il Bene contro il Male.
In un certo senso sarebbe stato perfetto per Milano. E forse, grazie anche alla grande popolarità mediatica che il reuccio proletario ha saputo costruirsi in questi ultimi anni, ce l’avrebbe anche fatta. Perché un Csm screditato come mai nella storia difficilmente avrebbe potuto dirgli di no. A Milano Francesco Greco, su cui imperversano scommesse per vedere se si dimetterà prima della pensione, non è più in grado di governare l’inferno della procura di cui è capo. Rischia di ritrovarsi alla fine svuotato anche il suo cerchio magico e di trascorrere le ultime settimane prima della scadenza di novembre con la sola Laura Pedio, colei che lui volle come procuratore aggiunto, con la complicità di Luca Palamara e a scapito di una concorrente con più titoli. La candidatura di Gratteri avrebbe sicuramente scompaginato le carte.
Ma quanto sarebbe durata la sua presenza ingombrante e disordinata, e il suo ego smisurato e le inchieste raffazzonate sempre demolite pezzo a pezzo da giudici e tribunali? Proviamo a pensare se sarebbe mai possibile nel milanese un’operazione come quella da lui condotta a Platì, con la cittadina posta sotto sequestro e manette ai polsi di sindaco e assessori. Oppure l’operazione “Stige”, con mille carabinieri per arrestare 170 persone, o “Stilaro” con cui al Comune di Camini furono arrestati sindaco e tutta la giunta e la gran parte del consiglio? Avrebbero tollerato la città di Milano e la Lombardia di vedere un personaggio come Giancarlo Pittelli ancora agli arresti senza una giustificazione credibile? E intere zone militarizzate e poi la gran parte delle persone (sindaci e amministratori) che erano state ammanettate e sequestrate, infine assolte, quasi sempre con la formula più ampia, perché “il fatto non sussiste”?
Pur se questi sono stati fatti clamorosi, restano ignoti però fuori della Calabria. Così come le indagini-flop nei confronti dell’ex presidente regionale Mario Oliverio, che Gratteri voleva arrestare e che subì comunque ingiustamente un duro confino.
Ma l’Italia intera ha potuto osservare almeno due vicende scandalose, sicuramente di rilievo nazionale. La prima è quella del dottor Lupacchini, e grida vendetta. Le poche persone per bene che ne hanno capito e denunciato la gravità ancora non si capacitano di come un magistrato dalla reputazione integerrima come la sua abbia potuto portare a casa bastonate non solo da chi non è ancora riuscito a vincere un processo (e vedremo come andrà a finire il famoso Maxi “Rinascita Scott”), ma soprattutto dal Csm più sputtanato della storia. La seconda è quella di Lorenzo Cesa, infilato a forza in un’ inchiesta degna di non più che di qualche cronachetta locale, per giustificare il senso della solita conferenza stampa. Un’informazione di garanzia al segretario dell’Udc per appartenenza alla mafia piombata nel bel mezzo della crisi di governo del “Conte-due” e mentre fervevano trattative, in cui era coinvolto anche Cesa, per un eventuale “Conte-ter”. Questa volte l’operazione si chiamava, con poca ironia, “Basso profilo”, e aveva impegnato 300 poliziotti e dieci elicotteri. Poi, al momento delle richieste di rinvio a giudizio, la posizione di Cesa viene stralciata. Poi non è più mafioso. Ma allora, a che gioco si sta giocando?
Ve la immaginate un’operazione del genere a Milano? Non si sa se al Csm qualche testa pensante (speriamo ce ne sia qualcuna portatrice di saggezza) abbia fatto questo piccolo sforzo di fantasia e abbia sconsigliato per questi motivi il procuratore Gratteri di fare domanda di trasferimento alla procura di Milano. Purtroppo il ragionamento delle “teste pensanti” del Csm sarà stato invece un altro. E sicuramente riguarderà intrighi a scacchiera che coinvolgono anche la procura di Roma e l’ingombro di Prestipino, ormai tri-bocciato come intruso, e la necessità di collocare da qualche altra parte coloro che contro quella nomina avevano fatto ricorso. Perché non Viola a Milano, per esempio? Ma sarebbe interessante sapere, secondo questa ipotesi, quale sia la compensazione offerta a Gratteri per la rinuncia. Perché è chiaro che in questi giri di valzer di spontaneo non c’è mai niente. Non c’è più Palamara, ma il Csm è sempre quello, immutabile e immarcescibile. Quello che caccia Lupacchini e promuove Gratteri. Speriamo che nella sua nuova attività – non appena Federico Cafiero De Raho sarà andato in pensione – di traglianastri antimafia, il campagnolo ignorante non faccia troppi danni.
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