Gratteri va in tv a lodare le sue inchieste, nonostante vengano spesso demolite dai giudici

Quando la giornalista Lucia Annunziata, al termine dell’intervista, lo congeda dicendogli «Auguri per il suo lavoro in prima linea», Nicola Gratteri avrebbe potuto schermirsi e rispondere: ma no, niente prima linea, io sono solo un pubblico ministero che sta nel suo ufficio e quando c’è una notizia di reato apre un fascicolo e comincia le indagini. Avrebbe potuto, ma soprattutto avrebbe dovuto.  Lucia Annunziata, che conduce ogni domenica su Rai3 Mezz’ora in più, è una brava giornalista di politica, ma non è un’esperta di giustizia. Lei no, ma chiunque abbia studiato giurisprudenza e letto la Costituzione e poi addirittura vinto un concorso per l’ingresso in magistratura dovrebbe avere almeno un’infarinatura dei principi base dello Stato di diritto e della divisione dei poteri.

Il dottor Gratteri è un pubblico ministero esperto, quindi è escluso che non sappia. Per esempio sa benissimo che in Italia la magistratura è un organo autonomo che non risponde a nessun altro della propria attività. Se invece il pm per esempio dipendesse dal governo, come è in molti altri paesi occidentali, allora sì che dovrebbe affiancare il potere esecutivo nella lotta ai sistemi criminali, stando con le forze di polizia «in prima linea». Allora sì che il dottor Gratteri potrebbe affermare, come ha fatto domenica da Annunziata, che al momento del suo insediamento al vertice della procura di Catanzaro si è detto: «Ora basta con queste cosucce, con queste piccole inchieste, ora dobbiamo smantellare interi sistemi». Poiché è ovvio che il magistrato autonomo che non risponde a nessuno, non possa smantellare proprio niente. E il giorno dopo, ha poi aggiunto con soddisfazione, sono andato a parlare con un collaboratore di giustizia. Ecco qui un’altra piccola anomalia che l’intervistatrice non ha colto: il pubblico ministero non deve andare a caccia di reati, perché se no viene il sospetto che vada a caccia dei rei su indicazione del pentito di turno, e che abbia in testa quello schema del “tipo d’autore” (di reato) che porta alle maxi-inchieste che poi, come capita spesso anche al dottor Gratteri, vengono demolite dai giudici in corso d’opera.

Se per esempio vieni a sapere che un certo paesino della Calabria di 2000 abitanti è dominato da una cosca mafiosa, occorre che ti ricordi prima di tutto quel principio costituzionale che sancisce che la responsabilità penale è personale. Se invece fai la pesca a strascico e ne arresti 200, corri il rischio, come è accaduto, che 192 risultino innocenti. Dimentico di questo e altri peccatucci del passato, il procuratore Gratteri vuol subito precisare, quasi precedendo la domanda della giornalista, che qualche scarcerazione c’è stata anche nella sua ultima maxi-retata, che lui considera pari al grande processo contro Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone.  Anche qui con una piccola amnesia: quelli erano i tempi dei processi inquisitori, nel sistema accusatorio il concetto di “maxi” non dovrebbe esistere, visto che la prova si dovrebbe formare in aula. Ma comunque l’ansia di comunicazione lo porta a spiegare in modo bizzarro perché sui 260 arrestati nell’inchiesta “Rinascita-Scott” (ma chi è il geniale copyrighter di questi titoli strampalati?) 69 (in realtà i provvedimenti modificati sono 140) sono stati già scarcerati. Ovvio, dice, si trattava di semplici prestanome, e dopo il sequestro dei beni e l’interrogatorio cristallizzato, è normale che non ci siano più esigenze cautelari.

E allora vien da fargli due domandine facili. La prima: erano indispensabili le manette per dei semplici prestanome? Non si poteva interrogare gli indagati a piede libero? La seconda: ha chiesto lei al gip la scarcerazione? Non risulta. Del resto a lui il carcere piace. Non quello di Bollate, primo in Italia per capacità di reinserimento dei detenuti nella società. Gratteri fa con la mano il gesto di scacciare una mosca fastidiosa, e sentenzia «Bollate è uno spot», facendo leggermente arrabbiare un bel po’ di persone che lì lavorano o hanno lavorato in passato. Il suo modello è un altro, quello dei campi di lavoro, dove i detenuti siano obbligati a svolgere attività manuali come ripulire gli argini dei fiumi che risolverebbero tanti problemi. Naturalmente si tratterebbe di lavoro non retribuito, aggiunge, senza rendersi conto che in una regione come la Calabria con altissimi livelli di disoccupazione giovanile è persino offensivo introdurre questa inedita forma di concorrenza sleale.

Dice cose così, il dottor Gratteri, con naturalezza, a bassa voce (nulla a che vedere con i guizzi di Davigo), stretto nel suo abito elegante, la camicia azzurra e la cravatta regimental. Cose da far rizzare i capelli: garantista o giustizialista? Io sono per la legge. Cose così. Ma piace. Ed è potente, ne sa qualcosa l’ex procuratore generale Otello Lupacchini, un magistrato per bene che lui ha fatto allontanare con un solo battito di ciglia.