Com’è che all’improvviso i parlamentari dei 5S e della Lega si sono trasformati da belanti pecorelle pronte a tutto pur di evitare lo scioglimento anticipato, fosse pure solo di un soffio, delle camere in ruggenti leoni che spingono i loro recalcitranti leader, Conte e Salvini, verso la battaglia? Situazione insolita, rovesciamento pieno del quadro classico che vede sempre i leader più grintosi, avendo in fondo meno da perdere sul piano personale, e la truppa più prudente. A maggior ragione nella situazione data, con il taglio dei parlamentari che rende per moltissimi un miraggio il ritorno a Montecitorio o palazzo Madama.
Eppure le cose stanno proprio così. Da dove viene questo improvviso e indomito coraggio, questo inusuale spirito combattivo? Farne solo una questione di interesse personale sarebbe probabilmente ingeneroso ma certo il fatto che almeno i peggiori incubi siano stati fugati un peso ce l’ha. Il diritto al vitalizio per i parlamentari al primo mandato, la cospicua pensione assicurata a partire dai 65 anni, scatterà il 24 settembre allo scoccare dei 4 anni e 6 mesi di servizio parlamentare. Non sono pochi gli interessati. Sono anzi legione: il 68% dei deputati, il 73% dei senatori. È noto che l’attesa di quel magico momento ha avuto un peso notevole nei passaggi cruciali d questa travagliatissima legislatura: nella scelta di evitare il voto dopo la crisi del governo gialloverde nel 2019 e di quello giallorosso nel 2021 ma anche in occasione dell’elezione del capo dello Stato nel febbraio scorso. Permettere a Draghi di ascendere al Colle avrebbe significato correre il rischio di seppellire la legislatura.
Quella paura non c’è più. Il Parlamento resta in carica sino alla sua sostituzione con quello eletto nelle nuove elezioni. Di fatto il passaggio di consegne entro il 24 settembre è già impossibile. Sarà un caso che deputati e senatori si siano scoperti temerari solo dopo aver messo al sicuro il vitalizio? Rischio comunque limitato dal momento che due decisioni recenti assunte dagli organismi interni di entrambi i rami del Parlamento avrebbero permesso di accedere comunque alla pensione in cambio di un riscatto di 30mila euro. Certo, restano sempre i mesi di stipendio persi ma anche da quel punto di vista il danno è comunque limitato. Con l’estate di mezzo non si voterebbe comunque prima di novembre. Nelle condizioni date, cioè con una maggioranza già liquefatta, la legge di bilancio sarà comunque l’ultimo atto della legislatura. Salvo resurrezione di uno spirito di maggioranza che in realtà non è mai nato e la cui miracolosa comparsa sposterebbe probabilmente le elezioni alla prossima primavera, le camere saranno comunque sciolte subito dopo l’approvazione della finanziaria in dicembre e dopo la pausa natalizia: agli inizi di gennaio. Non si tratterebbe di una perdita davvero rilevante.
Sull’altro piatto della bilancia pesa una paura più profonda. Se è vero che la principale ambizione dei parlamentari è tornare in Parlamento è anche vero che la politica non è solo il Parlamento: il carrozzone è composto da mille vagoni, dalle amministrazioni regionali a una quantità di postazioni collegate alla politica. Però la possibilità di battere quelle strade è direttamente proporzionale alla forza del partito. Per M5S e Lega la partecipazione al governo Draghi si è già rivelata un pessimo affare proprio perché erode la forza dei due partiti a ogni livello. Non si tratta più solo di ritornare in Parlamento ma di continuare a esistere e, per quanto riguarda la Lega, di restare forza egemone e determinante nel nord. A conti fatti difendere quella rendita è per tutti più importante che non restare in Parlamento un paio di mesi in più. Il rischio vale la candela.