Beppe Grillo è indagato a Milano per un reato che il suo M5S ha tenuto particolarmente a rinforzare, nel 2019: traffico di influenze illecite. Grillo lo ha ispirato, voluto e ottenuto nella formulazione attuale. Proprio quel traffico di influenze che il ministro grillino Alfonso Bonafede ha tenuto a definire “anticamera della corruzione”, facendo del ‘novellato’ reato una delle bandiere del Movimento, nel quadro euforico della Spazzacorrotti. Ed ecco l’eterogenesi, il boomerang che torna indietro e colpisce alla testa: Beppe Grillo ne finisce vittima, indagato per alcuni contratti pubblicitari sottoscritti dalla compagnia di navigazione Moby con il suo blog Beppegrillo.it.

Nel contratto viene sottoscritto un compenso di 120mila euro l’anno che formalmente avrebbe avuto per oggetto la produzione di contenuti pubblicitari palesi o occulti, con publiredazionali a firma del comico profumatamente pagati, ma sui quali gli inquirenti adombrano una diversa natura. Parla chiaro il decreto di perquisizione emesso dalla Procura di Milano: il garante del Movimento Cinque Stelle ha ricevuto da Vincenzo Onorato, fondatore della società Moby, «richieste di interventi in favore di Moby spa che Grillo ha veicolato a parlamentari in carica a quel movimento politico, trasferendo quindi al privato le risposte della parte politica o i contatti diretti con quest’ultima». È in questo passaggio degli atti giudiziari recapitati al fondatore del Movimento che si annida non solo la tragedia ma anche la farsa del partito degli Onesti: l’indagine viene svolta in considerazione «dell’entità degli importi versati o promessi da Onorato, delle relazioni effettivamente esistenti ed utilizzate da Giuseppe Grillo su espresse richieste di Onorato nell’interesse del gruppo Moby, con pubblici ufficiali». Elementi, questi, che fanno ritenere «illecita la mediazione operata da Grillo in quanto ufficializzata ad orientare l’azione pubblica dei pubblici ufficiali (politici, ndr) in senso favorevole agli interessi del gruppo Moby».

Il Movimento piomba nella bufera nel cuore delle riunioni interne per il Quirinale e subito si fanno strada i timori che qualche ombra sfiori le attività di Giuseppe Conte. Si riunisce il gabinetto di guerra: Conte chiede ai suoi cinque Vice di sentire i parlamentari. E stimola qualche reazione, che molto timidamente arriva da parte dell’ex ministro dei Trasporti, Toninelli, e dei deputati sardi che su Moby hanno avuto modo di lavorare. L’ex titolare del MIT non cancella i dubbi, rifugiandosi in un debole assioma: «Grillo? Come fai a non avere fiducia in uno che da quando è entrato in politica ha perso soldi? Gli altri hanno usato la politica per arricchirsi, lui no». Toninelli però non fa l’avvocato, ed è una fortuna. Perché basta una verifica per comprovare che Beppe Grillo ha visto aumentare di sei volte l’imponibile dichiarato al fisco negli ultimi anni. Quando il M5S era ancora all’opposizione, dichiarava 71 mila euro. Al termine del primo anno del Movimento al governo era arrivato a 420.000 euro. Non se la cavano molto meglio neanche i difensori di Onorato, impegnati a scavare nei ricordi d’infanzia. «Attendiamo di leggere tutti gli atti, ma bisogna tener presente che il mio assistito e Beppe Grillo sono amici di vecchia data, da almeno 45 anni, e quindi facilmente qualcosa potrebbe essere stato equivocato», dice l’avvocato Pasquale Pantano.

Naturalmente chi è garantista, lo è anche stavolta. Lo sono i parlamentari del centro, del centrodestra e perfino quelli, talvolta più dubbiosi, del Pd. Per il centrodestra parla Lupi, che i Cinque Stelle hanno massacrato in passato per molto meno. «Il traffico di influenze è un abominio dal punto di vista giuridico, un reato indefinito e indeterminato criticato dalla grande maggioranza dei giuristi e anche da molti magistrati». Lo dichiara Maurizio Lupi, presidente di Noi con l’Italia. «Il Parlamento dovrebbe avere il coraggio di abolirlo in tempi rapidi. La nostra posizione è ferma e chiara da sempre e rimane coerente anche oggi, quando ad essere colpito è un ‘avversario’ politico, Beppe Grillo. Non utilizzeremo mai le vicende giudiziarie come una clava per fare politica», aggiunge. E rimangono garantisti i più acerrimi avversari politici di Grillo, quelli di Italia Viva. Parla Ettore Rosato: «Beppe Grillo è innocente. Fino a prova contraria. Lo dice la Costituzione e per noi vale quella», sottolinea su Twitter il presidente di Iv. Che prevede una importante conversione nel campo avverso: «Sono certo che gli specialisti del fango giustizialista, sparato sulle pagine dei giornali, questa volta converranno con noi. Naturalmente solo perché tra di loro si tutelano», conclude sornione Rosato.

Il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, allarga il campo all’intero tema del finanziamento pubblico ai partiti, dentro al quale iscrive la vicenda Moby-Grillo: «Il finanziamento delle imprese alla politica è un problema. Lo dico da tanti anni e lo ripeto anche oggi, a prescindere dalla notizia dell’inchiesta su Beppe Grillo e i bonifici che avrebbe ricevuto dalla Moby di Vincenzo Onorato. Questa non è questione che possa essere confinata alle aule di tribunale, si tratta di rendersi conto che è un problema che riguarda la democrazia. Quando si ricevono sistematicamente soldi da un imprenditore è molto più difficile che un partito o un politico conservino la giusta e sacrosanta libertà di fare la cosa politicamente più giusta». Le perquisizioni della Guardia di Finanza negli uffici del garante del Movimento 5 Stelle non beneficiano delle stesse immagini in alta risoluzione che altre operazioni hanno regalato alle televisioni. E guarda caso questa volta non è entrato in funzione quel dispositivo della massima trasparenza – con il mantra del live streaming – che i grillini hanno predicato per un decennio, salvo poi esonerarne loro stessi. Le Fiamme Gialle entrano anche nella sede della Casaleggio Associati, a Milano. «Per un approfondimento investigativo», viene detto.

E quando Il Riformista chiede ai diretti interessati se risultano attinti da una iscrizione nel registro degli indagati, l’interlocutore non risponde. Nel triennio 2018-2020 la Moby in effetti ha anche sottoscritto un contratto con l’azienda di Davide Casaleggio che prevedeva il pagamento di 600mila euro annui quale corrispettivo per la stesura di un piano strategico e per l’attuazione di strategie per sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stakeholders alla tematica della limitazione dei benefici fiscali alle sole navi che imbarcano personale italiano e comunitario. I fari degli investigatori sulle “relazioni pericolose” dell’armatore di Moby con l’arcipelago pentastellato si erano già accesi nell’aprile dell’anno scorso, in relazione alla nota di dieci pagine allegata al piano di concordato preventivo presentato da Moby al tribunale fallimentare di Milano. Un documento che riguardava i pagamenti dal 2015 al 2020. Il report, su mandato della società marittima, era stato redatto da uno studio di commercialisti milanesi. A pagina uno si legge: «Si è proceduto a segnalare ulteriori trasferimenti di denaro da Moby verso soggetti esterni al gruppo che risultano essere meritevoli di attenzione».

La cifra totale non è di scarso rilievo, visto che il concordato presentato equivale, secondo il codice, a una ammissione di fallimento. Particolare che potrebbe aver risvegliato l’attenzione della Procura di Milano. Di più: un’altra società del gruppo, la Cin (Compagnia italiana di navigazione) Tirrenia, rischia di essere dichiarata fallita anche a causa di 180 milioni di euro che Moby dovrebbe versarle dopo aver acquistato Tirrenia nel 2012 già allora in amministrazione straordinaria. L’elenco delle spese inizia con i soldi pagati da Moby alla politica e ai lobbisti. E qui i grillini c’entrano, eccome. Ma non solo loro. Tra i vari destinatari del denaro, spiega il documento, c’è Roberto Mercuri, già braccio destro dell’ex vicepresidente Unicredit Fabrizio Palenzona. Il manager, nel triennio 2017-2019, ottiene una consulenza per «il supporto tecnico-specialistico legislativo in relazione alle attività con il Parlamento, con il Governo e con la Commissione europea». La consulenza, si legge nell’atto, vale di base 550mila euro. Cifra che lieviterà, anche per i vari rimborsi spesa, a 900mila euro. Se Mercuri insiste sulla voce lobbisti, alla voce “dazioni ai partiti politici” ci sono gli ormai assodati versamenti alla società che gestisce il blog di Grillo e alla Casaleggio Associati che in due anni incassa 1,2 milioni per eseguire, viene detto, «la creazione del sito marittimi.com (…) la creazione e gestione della pagina Facebook e la creazione della pagina Instagram».

La posizione dei garantisti, come detto, non cambia. Grillo rimane innocente fino all’ultimo grado di giudizio. E questo reato del traffico di influenze illecite è un mostro giuridico, soprattutto per come è stato novellato per volontà di Beppe Grillo e Alfonso Bonafede nel 2019, come delitto che configura una “relazione sospetta” a prescindere dalla configurazione di atti corruttivi e del beneficio di una contropartita. Quello che invece cambia, ed è un bene, sembra essere la posizione di nuovi garantisti, conquistati da ultimo alla causa. Ieri, nel giorno in cui si veniva a sapere dell’indagine a carico di Grillo, per la prima volta nella sua storia il quotidiano di riferimento di Grillo & Co., Il Fatto Quotidiano, ha finalmente pubblicato un articolo genuinamente garantista a firma di Massimo Fini.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.