Non bisogna per forza fare tante domande. A volte basta soltanto porre quella giusta. Magari ripeterla più volte, se l’interlocutore decide di non rispondere. A pensarci bene, è questo il ruolo del giornalismo. Così si dovrebbe condurre un’intervista. Nel giro di 24 ore abbiamo assistito a due ospitate televisive. Una senza domande. Un’altra in cui il politico è stato messo di fronte alle sue contraddizioni da un conduttore che lo ha incalzato. Domenica Fabio Fazio a Che Tempo Che Fa sul Nove ha lasciato libero Beppe Grillo di mettere su il suo personalissimo one man show. Una performance psicotica, più che un’intervista. Tanto che lo stesso padrone di casa, alla fine dello spettacolo, ha dovuto ammettere: “Non mi ha dato il tempo di fargli tutte le domande, ce le ho intatte”. Un comodo escamotage di fronte alle critiche scontate per il monologo del politico-comico. Accuse di poca incisività che infatti sono arrivate, puntuali, nei confronti di Fazio.

Ecco, meglio passare all’altra intervista. Quella vera. Siamo in Regno Unito e i protagonisti del duello sono il conduttore Piers Morgan e Jeremy Corbyn, ex leader del Labour Party britannico. Morgan, proprio come Fazio, è un mostro sacro dell’infotainment nel suo Paese. Solo che non ha scelto di rinunciare al suo ruolo di intervistatore. Scoprendo così l’ipocrisia dell’ex capo della sinistra inglese. Che per 17 volte non ha risposto a un solo quesito piuttosto semplice, forse perfino banale: “Hamas è un gruppo terroristico?”. Ovviamente lo spezzone diventa “virale”. Quell’ “are they a terror group?” scandito dal presentatore del Piers Morgan Uncensored è una mitragliata letale per uno dei volti simbolo di certo progressismo terzomondista, molto amato anche in Italia, soprattutto quando guidava con incertezza i laburisti britannici. Morgan incalza da subito. Corbyn è evasivo, mostra limpidamente al pubblico la sua difficoltà nel pronunciare la parola “terrorista” riferita a Hamas.

Dovrebbe essere scontata la definizione di “terrorista” per gli islamisti che dominano Gaza. Soprattutto dopo gli attacchi del 7 ottobre. E invece no, Corbyn non ci riesce proprio. Con Morgan che va avanti, ripetendo una litania scintillante. L’ex leader del Labour zoppica, beve un sorso d’acqua. In sintesi, non risponde. “Possiamo discutere?”, chiede il politico. “Possiamo discutere razionalmente?”, domanda ancora. Sembra di sentire i troppi che tirano in ballo la “complessità” per negare l’evidenza della brutalità di Hamas. È proprio in questo frangente che Piers Morgan si staglia come un gigante al confronto dei silenzi di Fabio Fazio della sera prima. Il conduttore inglese mette in chiaro le cose: “È il mio show, lei risponde alla mia domanda”.

E qui ci tocca tornare allo spettacolo desolante di domenica scorsa. Fazio è accondiscendente. La scaletta della trasmissione è costruita per permettere a Grillo di ricorrere al suo espediente retorico di dire “Io sono il peggiore”. Il conduttore, infatti, non appena arriva il comico sul palco proietta una serie di insulti ricevuti negli anni dal fondatore del M5s. Tutto funzionale a far scivolare via liscio lo show preparato da colui che si autodefiniva “L’Elevato”. Grillo può impostare la trama narrativa della sua esibizione, che scorre senza la traccia di una domanda. A un certo punto Fazio ci prova e chiede al Garante dei grillini cosa ne pensa di Giuseppe Conte, che prima ha firmato i decreti sicurezza di Matteo Salvini, salvo poi riciclarsi, con la complicità del Pd, come leader progressista. Il comico passa a parlare d’altro, di fronte al ghigno compiaciuto del conduttore di Che Tempo Che Fa. È la tv in cui è l’intervista a essere la notizia stessa, perché si sa già che l’intervistatore non vorrà tirare fuori nulla di nuovo. Gli basta mostrare il personaggio, creare l’evento mediatico. Senza preoccupazioni di sorta rispetto all’opinione pubblica. Che avrebbe diritto alle domande e anche alle non-risposte dell’ospite.

Con Morgan la notizia non è Corbyn, ma sono le sue scuse per non rispondere a una domanda semplice, eppure dirimente. L’incalzare del conduttore, in quel caso, ha squarciato il velo sull’ipocrisia di una parte della sinistra, balbuziente davanti a questioni di principio fondamentali, segnanti. Anzi, di più. Aggiunge un elemento alle accuse di antisemitismo piovute addosso a Corbyn nel corso degli anni. Piers Morgan glielo dice apertamente: “Lei non risponde alle domande e si chiede perché la gente crede che lei abbia un problema con gli ebrei”. “È il mio show”, gli ribadisce. Innalza quel muro sacrosanto che dovrebbe esistere tra la politica e chi è chiamato a controllarne l’operato. E non si dica che Grillo non è un politico. Con il M5s al governo, una frase criptica del comico genovese sul suo Blog poteva sconquassare una maggioranza o indirizzare un provvedimento. Ma anche ora è fuor di dubbio l’influenza di Grillo. Nessuna domanda nemmeno quando l’illustre ospite ha deciso di attaccare Giulia Bongiorno, l’avvocato che difende la presunta vittima di stupro nel processo contro Ciro, il figlio del comico. “Beppe così è inopportuno”, l’unica obiezione. Più un saggio consiglio che una replica. Sul punto, il fondatore del Movimento si è scoperto perfino garantista, quando ha sostenuto che “se il mondo entra nella tua famiglia, te la sfascia”. Non sarebbe stato complicato ricordargli il giustizialismo su cui ha prosperato il suo successo politico. La gogna mediatica ai danni delle famiglie degli avversari. Bastava fare una domanda. Come Piers Morgan.